Nostalgia delle montagne italiane?
Un po’, naturalmente.
Ma quello che vedete sopra è un paesaggio del
Cameroun, nella zona nord-ovest di questo grande paese.
Siamo stati invitati a visitare Foumban, la capitale del regno dei Bamoun, l’etnia più importante dell’ovest del Cameroun, insieme ai Bamilekè.
È inoltre il popolo più ricco d’arte, tanto che la loro
capitale è conosciuta come “città d’arte”.
Un popolo ricco di storia, che risale al 1300.
Ricco di reperti e di tradizione, raccontata per
immagini e simboli. E orgoglioso della propria storia.
Qualche notizia sul nostro ospite.
È il sindaco di
Foumban, Mr. Adamou Ndam Njoya, personaggio eminente nella storia contemporanea
del Cameroun, politico di rango, conosciuto in molti ambienti internazionali e
ben conosciuto anche presso il Vaticano, per il suo forte e continuo impegno
verso l’ecumenismo di tutte le religioni. Mr. Njoya, se non l’avete capito, è
musulmano, ma non fa alcuna differenza: è convinto della sua fede, ma è
altrettanto convinto che tutte le fedi abbiano lo stesso diritto di esistere
sotto lo stesso cielo.
La moglie di Mr. Njoya si chiama Hermine Patricia Tomaino
Njoya, deputata del Parlamento camerunese. Il primo invito è venuto proprio da
lei e quando abbiamo proposto di andarli a trovare lo scorso weekend, lei era
negli Stati Uniti per impegni legati alla sua attività. Non ha voluto che
spostassimo la data, perché i suoi e i nostri impegni avrebbero reso quasi
impossibile una visita prima della metà di dicembre.
La signora Tomaino Njoya ha radici italiane: suo nonno,
Angelo Tomaino, era militare in Libia ai tempi della seconda guerra mondiale.
Preso prigioniero dagli alleati, è stato portato in Cameroun; in seguito si è
fermato lì, sposando una camerunese e continuando la sua vita come camerunese.
Ma, oltre a queste curiose coincidenze, c’è stata, fin da
subito, una affinità di pensiero e di idee che ci ha fatti trovare subito a
nostro agio.
Il viaggio verso Foumban è stato lungo. Sia per la distanza
(circa 500 km), sia per la ormai ben nota condizione delle strade.
I primi 150 chilometri sono stati “normali”. Strada
normalmente asfaltata, traffico limitato, media oraria fra i 60 e i 70 km/ora.
Difficile mantenere medie più elevate: si attraversano villaggi e paesi, ed
ogni volta ci sono dossi rallentatori che ti obbligano a fermarti quasi per il
loro superamento; ci sono i caselli per il pagamento del pedaggio; ci sono i
posti di blocco della polizia stradale e quelli della gendarmeria. I primi per
la sicurezza stradale, i secondi per la sicurezza nazionale.
Siamo così arrivati al ponte sulla Sanaga, uno dei fiumi più
importanti del Cameroun.
Dopo il ponte sulla Sanaga, la strada è cambiata: ancora
asfaltata, ma piena di buchi. A volte “piccoli”, cioè di una quarantina di cm
di diametro; a volte più grandi, quasi tutta la carreggiata. La profondità
sempre più o meno uguale: 10/15 cm. Situati a caso: a destra, in mezzo, a
sinistra, affiancati, in linea, e così via.
Il sistema di guida è quindi quello di capire quale è la
traiettoria da seguire per cercare di evitarli: lasciandoli a lato, o
passandoci sopra con le ruote a destra e sinistra, spostandosi completamente
contromano. In pratica, una strada a
chicane continue, senza dimenticare dossi, caselli, posti di blocco. Se si
prende uno di questi buchi a discreta velocità (70/80 km/h) con una normale
berlina, le probabilità di fermarsi a bordo strada con qualcosa di rotto sono
abbastanza elevate. Con il pick-up si corrono meno rischi, ma resta il timore e
la preoccupazione di “invecchiare” la macchina anzitempo. E prendere anche dei
buoni colpi sulla schiena.
Diventa quindi una guida decisamente snervante e faticosa. E
si comprende meglio perché un viaggio di 500 km possa durare tutta la giornata
o quasi.
A parte ciò, andando verso ovest il paesaggio poco per volta
cambia. E non soltanto dal punto di vista del territorio. A poco a poco cambia
anche l’ambiente sociale: sembra quasi diventare più ordinato e pulito: ad ogni
paese ci sono i mercati all’aperto, che vendono di tutto. Mercanzie ben
separate: da una parte alimentari e piccoli ristoranti; dall’altra tutto ciò
che non è alimentare. Maggior pulizia per terra, minor quantità di merci
appoggiate per terra, ma sistemate su banchi, magari di fortuna ma sollevati da
terra.
Anche alcune differenze sulla tipologia di alimentari:
frutta che nella nostra zona è rara da trovare, verso ovest diventa molto più
frequente: mandarini, del classico colore dei mandarini, un bell’arancione
acceso, che vengono chiamati (guarda un po’!) “clementine”; angurie (pasteque),
più piccole delle nostre, con una scorza più spessa, ma con lo stesso sapore e
meno semi; arance e pompelmi. Naturalmente, anche banane, ananas e così via.
Diminuiscono i banchi di pesce e aumentano quelli di carne. Attenzione, però:
nei mercati all’aperto, con banchi volanti sistemati la mattina e ritirati la
sera, non si vende carne e pesce freschi, ma soltanto cucinati, in gran parte
alla griglia.
Per i delicati di stomaco, il “cibo da strada” può creare
qualche problema: carne o pesce sono collocati sulla griglia, con una brace a
legna costantemente accesa e sostituiti a mano a mano che vengono venduti. Se
decidete di acquistare una porzione di carne, il venditore sceglierà il pezzo
più pronto, vi chiederà quanto volete spendere, se 1000, 1500 o 2000 franchi
(da 1 euro e mezzo a tre euro), vi farà assaggiare un pezzettino e poi taglierà
a bocconi la porzione, sistemandoli su un pezzo di carta (giornale, quaderno
usato, copie di ricevute e così via, mai un pezzo di carta nuovo!),
accompagnati da un cucchiaino di piment in polvere e vi fornirà anche uno
stuzzicadenti per potervi servire. L’unico attrezzo in mano al venditore è un
coltello affilato, per tagliare la carne. Per ogni altra necessità ci sono le
mani.
La carne è normalmente bue o pollo, rarissimo il porco,
ancora più raro andando verso ovest, perché aumenta la percentuale di
musulmani, fino a diventare stragrande maggioranza.
Per il pesce è tutto più semplice: scegliete il pesce in
funzione della grandezza e di quanto volete spendere. Di solito ve lo cuociono
al momento, quindi dovete aspettare. Ve lo sistemano sul solito pezzo di carta,
con il solito accompagnamento di piment e anche un po’ di cipolle affettate.
Senza stuzzicadenti o forchetta: avete le mani, cosa volete di più?
Potete mangiare in piedi, oppure potete scegliere uno dei
tanti bar vicini e aspettare che vi portino l’ordinazione al tavolo. Intanto
ordinate anche da bere; e se volete accompagnare il tutto con un po’ di pane,
passate prima dal panettiere e lo comprate.
Tutto ciò, nei paesi occidentali oggi si chiama “street
food” e “finger food” e va molto di moda. A volte c’è una differenza: poiché i
ristoranti che vi propongono il “finger food” sono più alla moda e più chic,
sono più cari degli altri. Come se mangiare con le mani fosse ormai un lusso.
Certamente il livello di igiene è più alto.
È comunque un classico sistema “fai da te”, o si potrebbe
pensare a un “pranzo Ikea”: scegliete i diversi componenti (carne, pesce,
contorno, frutta, pane), li acquistate su banchi o negozi diversi e li
assemblate a vostro piacimento nel posto dove trovate anche le bevande.
I nostri ospiti ci avevano trasferito il numero di telefono
di Ismahel, uomo di fiducia del sindaco, che ci avrebbe fatto da guida a
Foumban. Consigliandoci di chiamarlo ogni tanto lungo il viaggio, per
assicurarlo che tutto procedeva per il verso giusto.
La prima chiamata l’abbiamo fatta in partenza da Yaoundè. La
seconda quando siamo arrivati a Bafoussam, nella regione Centro-Ovest (c’è
anche un Sud-Ovest e il Nord-Ovest, la nostra meta). Bafoussam è una importante
città del Cameroun, abbastanza grande. Disordine e sporcizia qui aumentano,
come in quasi tutte le grandi città, meta dell’immigrazione interna, cioè di
quelli che abbandonano i villaggi e le campagne per cercare opportunità di
lavoro nelle grandi città. Quindi aumento caotico della popolazione di queste
città, con scarso o nullo adeguamento dei servizi e relative conseguenze.
A Bafoussam la stanchezza incominciava a farsi sentire:
erano ormai già passate le quattro del pomeriggio ed eravamo in viaggio dalle
otto e mezza. Chiamato Ismahel, comunicata la nostra posizione e chiesto quanti
chilometri mancassero a Foumban.
Sì, perché i cartelli stradali sono pressoché inesistenti e
anche il nostro navigatore non riconosceva l’esistenza di una città chiamata
Foumban, continuando a consigliarci una inversione di marcia!
La risposta di Ismahel è stata confortante: una ventina di
chilometri. In realtà sono risultati essere quasi altri cento, costellati di
dossi e posti di blocco. Leggermente diversi dai precedenti: blocchi di tre
piccoli dossi ravvicinati, di una quindicina di centimetri di altezza e 10 di
larghezza, in pratica come un tubo di ferro incollato al terreno. Tre, a
distanza di venti centimetri uno dall’altro: ptum, ptum, ptum … ptum, ptum,
ptum. Una breve pausa, cinquanta metri, e il dosso più grande: sempre una
quindicina di centimetri di altezza, ma 50 o 60 di larghezza. Poi, passata la
zona in cui la velocità doveva essere molto bassa, per la presenza di un
mercato o di scuole, ancora la serie: dosso grande e tre piccoli.
Poi i posti di blocco e controllo: sei pneumatici piazzati a
terra, ad ostruire completamente la corsia di destra; dopo dieci metri, altri
sei, ad ostruire completamente la corsia di sinistra; dopo un centinaio di
metri, altre due serie di pneumatici, disposti in senso opposto ai precedenti.
Velocità massima utilizzabile: 15 km/h. Con necessità di dare precedenza a chi
ha già incominciato il passaggio, perché può passare solo un veicolo per volta.
Ma, infine, siamo arrivati! Ismahel ci aveva comunicato di
aspettarci davanti all’albergo che ci era stato prenotato, ma abbiamo dovuto
spiegargli che forse era meglio darci un appuntamento in un posto ben definito
sulla strada, in modo che potesse accompagnarci all’albergo, visto che non
sapevamo assolutamente dove potesse essere.
Ormai erano passate le sei, la voglia di una doccia, di
cambiarci, di sdraiarci un momento, di sgranchire le gambe, di abbandonare
finalmente il volante era massima.
Bell’albergo, in pieno centro città. Ma.
Niente acqua calda.
Anzi, quando siamo arrivati, niente acqua del tutto: bidone di acqua fredda e,
su richiesta, secchio di acqua calda. Tre ripiani (60cm x 60cm) per appoggiare
camicie o altro e tre appendini per i vestiti. Nessun appoggio per spazzolino
da denti o rasoio o sapone. Niente dove appendere un asciugamano o un
accappatoio.
Ma si riesce a vivere lo stesso!
Credo che anche voi siate stanchi del viaggio. Prossimamente
il seguito.
Tu pensa che oggi mi sono adirata notevolmente x ché il tecnico della lavastoviglie, che sto aspettando da ben 12 giorni, non è potuto venire e non so quando verrà. Vedi le priorità della vita! A parte la battuta, che dopo questa lettura diventa "smorbieta'', grazie x questo inizioviaggio. Con ansia attendo il resto. Rosella
RispondiElimina