Dovrei parlare della vita di tutti i giorni, non molto
diversa da quella che si vive, probabilmente, in qualsiasi altra parte del
mondo.
Certo, in questo posto abitudini, clima, mentalità, rapporti
personali, lavoro, tenore di vita sono molto differenti e ad ogni momento fai
il confronto con situazioni analoghe che ti sono molto più familiari.
Bisogna imparare a calibrare bene il proprio comportamento:
modi di fare e atteggiamenti che a “casa nostra” sono del tutto normali, qui
assumono altri significati, a volte inopportuni.
Bisogna imparare a essere “diversi”: a essere guardati,
magari insistentemente, per il diverso colore della pelle. A essere gli unici
bianchi in un supermercato pieno di clienti e commessi neri.
Bisogna imparare a essere osservati per le scelte che
facciamo in quel supermercato e immaginare i pensieri che passano per quelle
teste: “cosa mangiano i bianchi? Cosa comprano? Cosa fanno dentro le loro case?
E perché vengono nella nostra casa? perché non gli va bene quello che
mangiamo anche noi? Se vogliono venire qui, perché non si abituano ai nostri
usi e costumi? Non gliene va mai bene una: il riso è diverso, la pasta non è
buona, la carne è dura, i salumi sono pochi, i formaggi ancora meno, sempre lo
stesso tipo di pane. E si lamentano di tutto: l’aria, l’acqua, il traffico, le
strade, le auto, l’inquinamento, il clima, le piogge e il sole, gli insetti, la
polvere. Ma chi gli ha detto di venire qui?”
Ecco, sei lì di fronte agli scaffali delle paste e cerchi
degli spaghetti che siano “prodotti in Italia” e non in Turchia, o Marocco, o
India o Nigeria e inconsciamente ti accorgi che, forse, gli altri stanno
pensando tutte quelle cose intanto che ti guardano. E ti viene voglia di
gridare: “SONO UGUALE A VOI!!!! MANGIO IN MODO DIVERSO, MA MANGIO ANCH’IO COME
MANGIATE VOI!!! SI’, SONO BIANCO. E ALLORA???”
E incominci a guardarti attorno in modo diverso, più
diffidente. E “loro” (che magari stavano pensando a tutt’altro) se ne accorgono
e ti ricambiano la stessa diffidenza. E la diversità aumenta e si fa palpabile.
Ecco, da un pacchetto di spaghetti incomincia a nascere la
presunta incompatibilità, il presunto senso di superiorità (o inferiorità), la
paura reciproca.
E poi fai una riunione di lavoro con i tuoi più stretti
collaboratori, naturalmente neri, (tre ore di francese: una faticaccia!!) e ti
accorgi che aspettano da te soluzioni miracolose. Che la tua sola italianità è
per loro (e anche per moltissimi altri) sinonimo di qualità, capacità,
intelligenza (vallo a dire in Italia!). Anche se a volte ti accorgi che ti
guardano come se tu gli stessi spiegando l’invenzione dell’acqua calda. E ti
rendi conto che stai parlando di lavoro con persone che usano il tuo stesso
linguaggio, che hanno gli stessi problemi di tirare la fine del mese, di far
crescere i figli (e ne hanno sempre tanti!), di fare i pendolari, di combattere
contro pettegolezzi e malignità. E alla fine ti accorgi che non stai pensando
più al colore della pelle, al clima, agli insetti e a tutto il resto. E ti
accorgi che puoi permetterti di ridere e scherzare e che “loro” ricambiano
volentieri. Magari timidamente, all’inizio. Perché ossequiosi e timorosi della
“superiorità italiana” (mi vien da ridere). Ma poi più sciolti.
E poi.
Poi, in una pausa di lavoro, ti metti a parlare con uno di
loro del più e del meno e poco dopo ti rendi conto che stai parlando di massimi
sistemi: le diversità religiose, le divisioni del cristianesimo, le contraddizioni,
il ruolo dei preti, la mancanza di vocazioni, la questione omosessuale.
Su pochi punti avevamo opinioni concordanti, ma in entrambi
c’era la volontà di ascoltare e capire. Non necessariamente condividere, ma
rispettare sì.
Forse anche loro incominciano a non pensare più al colore
della pelle.
bel colpo, questa mi è piaciuta! una visione originale e divertente!
RispondiEliminauna versione politically scorrect vedrebbe un uomo in astinenza di formaggi urlare davanti al bancone delle paste "ma dove caspita è la pasta italiana?!?!?!?! come diavolo fate a mangiare pasta fatta in nigeria senza una grattata di parmigiano?!" ; )
a presto!
Ottimo questo pezzo con le riflessioni. Quello che più mi impressiona nei vari atteggiamenti di razzismo, soprattutto verso i neri e in generale verso le persone del terzo mondo, è che è diffusa la convinzione che "gli altri" abbiano sentimenti diversi dai "nostri". Quando c'è una disgrazia, ad esempio, in cui sono coinvolti bambini ho spesso sentito affermare che "loro" comunque sono meno sensibili al dolore o alla perdita perchè ci sono abituati e poi hanno tanti figli e quindi... E' sorprendente.
Elimina