Mercoledì scorso siamo andati a Douala, circa 260 chilometri a est di
Yaoundè. Io e un mio collaboratore, che sta diventando, poco alla volta, il
responsabile commerciale del Centro d’Arte Applicata.
Quindi: 45 km a nord fino a Yaoundè e poi 256 a est.
Prima dovevamo fermarci a Edea, una sessantina di km prima
di Douala, per visitare un nostro punto di vendita delle ceramiche.
Fra me e me avevo pensato: “circa tre ore per arrivare a
Edea, un paio d’ore per quello che dobbiamo fare lì, un’oretta scarsa per
arrivare a Douala, il tempo per mangiare qualcosa, un altro paio d’ore per
sbrigare gli affari a Douala. Se iniziamo il ritorno verso le 17, siamo di
ritorno a casa per l’ora di cena o poco dopo. Partenza alle 7 di mattina e
dovremmo farcela.”
Ma Alain, il mio collaboratore, ha incominciato a smontare i
miei calcoli: “meglio se partiamo al più tardi verso le 6,30. Sarebbe meglio
prima, però… Ok, decidiamo per le 6,30”
Ho accettato il suo consiglio, perché conosce molto meglio di me
strade e traffico.
Nel passato vi ho già detto che da Mbalmayo a Yaoundè c’è
“l’autostrada”. E anche fra Yaoundè e Douala.
Autostrada pochissimo più larga delle nostre provinciali:
una corsia per un senso di marcia, una corsia per l’altro senso. Un punto di
pedaggio per arrivare a Yaoundè, altri tre punti di pedaggio per arrivare a
Douala. Non si possono chiamare “caselli”: arrivi e devi andare molto piano
perché 50 metri prima e 50 metri dopo il punto di pedaggio per obbligarti a
rallentare in pratica hanno rialzato il fondo stradale di una ventina di
centimetri, con un semplice e banale gradino. Come se tu dovessi salire sul
marciapiede!
Ai due lati della macchina inoltre ti si affiancano adulti e
bambini che vendono arachidi, banane, fazzoletti di carta, spiedini di carne,
bastoni di manioca, caramelle, succhi e altre bevande, eccetera. Il casellante,
uomo o donna che sia, è lì, in mezzo alla strada, con in mano soldi e
biglietti: gli dai 500 franchi (tariffa fissa per ogni tratta) e lui ti stacca
il biglietto. Il suo aiutante sposta la barra chiodata e tu puoi ripartire.
Potete quindi immaginare che se davanti a voi ci sono una decina di altri
veicoli, il tempo perché arrivi il vostro turno è abbastanza lungo.
Il mio ragionamento immaginava che si potesse tenere una media
di un’ottantina di chilometri all’ora. Avevo già fatto quel tragitto a maggio e
c’era decisamente poco traffico.
Al contrario, ieri c’erano più camion che auto e, nelle
salite, la loro velocità rallentava parecchio. E, come sempre succede, quando
hai sufficiente visibilità per il sorpasso il traffico in senso inverso è
fitto. Quando non hai visibilità (e non vuoi rischiare come fanno i camerunesi)
non passa nessuno! Sarà forse per questo motivo che i camerunesi sorpassano sia
in curva che sui dossi.
A proposito: il guidatore ero io, naturalmente. Alain non ha
la patente e comunque le vetture del COE possono guidarle solo persone
appartenenti al COE.
Torniamo al nostro viaggio. Alle 9,30 siamo all’ultimo
pedaggio prima di Edea, poi ci saranno ancora una quarantina di chilometri per
arrivare alla nostra prima tappa. Sembra che abbia sbagliato di poco.
Invece, dopo il “peage” (pedaggio) c’è anche il “pesage” (la
pesa per i camion). Quindi una fila interminabile di camion di tutte le
dimensioni che blocca la strada. Di tutte le dimensioni non è proprio vero:
sono sottoposti alla pesa soltanto quelli che superano un determinato carico,
quindi i più grossi.
Come è abitudine dalle nostre parti, pur fra mille
imprecazioni sono lì, in fila, in attesa che i camion davanti a me arrivino al
famoso “pesage” e nella speranza che l’autista del tir dietro di me abbia il
piede prontissimo a frenare. Invece costui incomincia a strombazzare e mi fa
segno di spostarmi a sinistra. A sinistra? E dove vado? Sulla corsia opposta,
contromano?
Alain, gentilmente, mi spiega che in effetti bisogna proprio
fare così: invadere la corsia opposta, approfittando dei momenti in cui non
passa nessuno e superare la fila dei camion in attesa di spostarsi a destra
nella piazzola della pesa. Prendo atto, mi accodo a un pullman (non soggetto a
pesa) e vado: ogni tanto mi stringo a destra, per far passare i veicoli in
senso inverso che, pur avendo fatto la stessa manovra sulla corsia opposta,
adesso sono scandalizzati di quello che sto facendo io!
E va bene: sfiorando camion e macchine a destra e a
sinistra, superiamo finalmente la coda e il blocco della pesa e ci troviamo
sugli ultimi 40 chilometri prima di Edea. Abbiamo perso soltanto una ventina di
minuti.
Ma. Nonostante dovesse essere già finita da un pezzo, la
stagione delle piogge sta continuando e ci troviamo sotto un acquazzone di
quelli belli forti, dove la visibilità diminuisce di un bel po’ e di
conseguenza anche la velocità. Difficile (e da incoscienti) superare i 50
km/ora. A un certo punto sfioro la cima di un albero, che è caduto sull’altra
corsia occupandola tutta.
Ok! La pioggia diminuisce, smette e si vede la periferia di
Edea. Ultimo sprint! Col cavolo!
La cittadina non vuole che al suo interno i veicoli vadano a
velocità elevata. Niente vigili, niente autovelox o velok o come diavolo si
chiamano. Solo dossi. Piccoli. Una mezza dozzina di centimetri di altezza e
altrettanti di larghezza, come dei tubi fissati per terra. A gruppi di tre per
volta. Ogni “tubo” distante circa 4 metri dal successivo, poi una ventina di
metri, altro gruppo di tre. Cinquecento metri e altro gruppo di tre più tre.
Altri cinquecento metri e un dosso più grande: una cinquantina di centimetri di
larghezza e una ventina in altezza. Più dolce, ma devi affrontarlo piano, molto
piano se non vuoi spaccare la macchina e la schiena.
Finalmente i “dos d’ans” (dorso d’asino) finiscono. Siamo
arrivati in città e il traffico ormai ti impedisce di superare certe velocità.
Facciamo la visita al nostro punto vendita, quattro
chiacchiere con il venditore, inventario del consegnato e del venduto, calcoli
economici, accordi per il prossimo futuro. Poi visita ad un potenziale altro
punto vendita, spero di prossima apertura e infine, all’alba delle 13,
ripartenza verso Douala.
Altri 40 chilometri come i precedenti, ultimo pedaggio
sempre con lo stesso sistema e, finalmente, ingresso in città.
Douala è una città grande e moderna, molto attiva sia nel
commercio che nell’industria, ha un porto sull’oceano, l’unico porto commerciale
del Cameroun, dal quale partono e arrivano navi portacontainer, merci e anche
passeggeri. È una città di almeno 2.000.000 di abitanti e più o meno
altrettanti pendolari di ogni tipo. Potete quindi immaginare quale sia il
traffico in entrata e uscita dalla città.
Che ha soltanto due (2) vie d’accesso e uscita.
A qualsiasi ora del giorno vi sono ingorghi e code, ma agli
orari di punta gli ingorghi (emboutillages) sono indescrivibili.
Dalla periferia a dove dobbiamo andare noi ci mettiamo
un’oretta, forse qualcosa di più. Arriviamo al nostro punto vendita verso le
tre del pomeriggio. Naturalmente non abbiamo ancora mangiato. Per riuscire a
ripartire, secondo il mio programma, verso le 17, dovremmo sbrigare la visita
ai due punti vendita in meno di un’ora, impiegarne un’altra per uscire dalla
città e ripartire. È ormai chiaro che il mio programma era totalmente
sbagliato.
Il primo punto vendita è un
ristorante abbastanza centrale, gestito da una coppia di greci che sono
in Cameroun da più di 40 anni. Sono ormai entrambi, marito e moglie, intorno
agli 80 anni. Ma si muovono ancora bene e gestiscono il loro locale con piglio
deciso e molto commerciale. Aprono alle 9 e chiudono a mezzanotte: a qualsiasi
ora potete farvi fare una pizza (accettabile) o un piatto di spaghetti o un
piatto di calamari o gamberi di mare. La cucina è sempre aperta e i camerieri
sono molto gentili e disponibili.
All’ingresso c’è un grande scaffale, con tutti i nostri
oggetti esposti. E le vendite sono abbastanza buone. La clientela è soprattutto
estera e non fanno difficoltà sui prezzi.
Ci hanno accolto molto bene, quattro chiacchiere di
reciproca conoscenza, qualche commento sulle rispettive situazioni politiche in
Italia e Grecia (ve ne risparmio!) e, finalmente, si parla d’affari davanti a un buon caffè
Illy.
E qui ho l’ennesima conferma della mancanza di una reale
politica commerciale della nostra azienda. La convinzione che sia possibile
vendere ciò che facciamo e non ciò che vuole il cliente!
Ma se il cliente (o il venditore) ti chiede delle scatole,
perché gli proponi dei vasi o dei piatti?
Ma va bene lo stesso, sono problemi di facile soluzione.
Anche qui, inventario, calcoli economici, incasso, saluti e
via per il prossimo appuntamento, ma solo dopo aver mangiato, finalmente, una
pizza. E bevuto un ottimo succo d’ananas bio.
Incomincia a farsi strada l’ipotesi di fermarci a dormire a
Douala e ripartire l’indomani mattina. Non è un’idea che mi vada molto a genio,
ma ci penseremo.
La visita successiva è stata piuttosto deludente e perciò
anche piuttosto breve.
Ormai è buio, sono passate le sei e mezza, dobbiamo prendere
la decisione.
Calcoliamo 4 ore di ritorno, potremmo essere a casa un po’
prima di mezzanotte.
Alain mi consiglia di fermarci: è notte, la strada è lunga,
il traffico è soprattutto composto di grossi camion, compresi quelli per il
trasporto di tronchi.
Ma per me l’idea di dormire nel mio letto ha il sopravvento:
è deciso, torniamo stasera.
Se Dante facesse oggi la sua Divina Commedia, l’uscita da
Douala sarebbe certamente un girone dell’inferno: file interminabili, camion
che fanno inversione di marcia, macchine che cercano di scavalcare le code
passandoti a destra, sulla terra e sull’erba, o a sinistra andando contromano.
E moto, moto, ancora moto. Con due, tre o quattro persone sopra. Quattro moto a
destra, altre quattro a sinistra; e devi bloccarti di colpo perché altre due
stanno attraversando immediatamente di fronte a te. Devi stare attaccato alla
macchina che ti precede, in modo da non lasciare spazio alle moto che da destra
passano a sinistra (o viceversa) alla ricerca degli spiragli che gli permettano
di avanzare più veloci.
E non bastano le moto. Ci sono anche carretti spinti a mano
e pedoni. I primi, classici carretti a due ruote, caricati di traversine di legno
lunghe anche 4 metri, con una persona che spinge. E pedoni: quelli che vanno a
casa a piedi, che si spostano da un lato all’altro della strada, che cercano di
venderti qualcosa. E non siamo all’interno della città! Siamo su una delle due
strade d’accesso/uscita all’estrema periferia della città.
Ci sono quattro rotonde da superare. Qui vige ancora il
concetto che chi entra nella rotonda ha la precedenza e quindi è più facile
creare i classici ingorghi a pettine. Per questo motivo, le precedenze non sono
rispettate da nessuno: il primo che riesce a mettere la ruota davanti
all’altro, ha vinto. Ha guadagnato un metro, ma ha vinto.
Intorno alle nove, finalmente, usciamo dalla città e
imbocchiamo la cosiddetta autostrada. Ci saranno i quattro pedaggi complessivi
da superare, ma il più è fatto. Ormai è solo questione di tempo e di fortuna:
quanti meno camion incontreremo, tanto prima arriveremo.
Siamo arrivati ben oltre mezzanotte, ma ce l’abbiamo fatta.
La prossima volta ascolterò i consigli di Alain: a Douala, almeno 2 giorni!
bé che dire...bienvenue en Afrique!!
RispondiEliminaDevi decisamente accantonare la tua mentalità occidentale e adeguarti agli usi e costumi e...alle disponibilità di costì :)
RispondiEliminaBuon Natale a te e Ica