Don Gino è morto.
Fisicamente non c’è più, ma certamente il suo pensiero,
molto più del suo ricordo, vive tuttora in tutti quelli che l’hanno conosciuto
anche soltanto una volta.
Che, prima o poi, dovesse morire, lo sapeva molto bene anche
lui. E, senza mai dirlo apertamente, lo sapevamo anche tutti noi che abbiamo
avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo.
D’altronde, che muoia un uomo di 93 anni non è strano, non è
insolito, non è una sorpresa.
Se poi si conosce anche la vita, certamente non facile e
comoda, vissuta da Don Gino, viene naturale pensare che altri sarebbero
scomparsi prima.
Ma probabilmente la sua serenità nell’affrontare la vita di
tutti i giorni l’ha tenuto con noi fino a ieri.
Diceva che tutte le mattine ringraziava il Signore perché
gli aveva regalato un altro giorno. E non bisogna mai sprecare un dono. Quindi
ogni giornata va vissuta con gioia, come con gioia si accoglie un regalo.
93 anni e non dimostrarlo.
In occasione del suo 90° compleanno, grande festa e
tantissime persone venute alla Cascina G per fargli gli auguri, salutarlo,
sentire le sue parole e le sue battute, ascoltare le sue risate e i suoi
pensieri. E leggere lo striscione che aveva affisso sul muro della cascina.
Come si fa a non ammirare una persona che, a 90 anni,
ridefinisce la vita? O invita noi tutti a ridefinire la propria? O invita a
dare un senso diverso alla nostra vita, a “ri-definirla” secondo i propri
pensieri e la propria coscienza, e non secondo gli schemi assorbiti o imposti?
Ma non voleva essere ammirato e non voleva essere un faro
per gli altri. Che poi lo sia stato, questo è un altro discorso.
Voleva, e lo voleva fortemente, che ognuno prendesse
coscienza di sé, per esprimersi al meglio e aprirsi alla cultura. Che non è
sapere tante nozioni o avere un buon titolo di studio (in cascina faceva bella
mostra un diploma di “auto-laurea”), ma è imparare a leggere il mondo, senza
farselo raccontare dagli altri. Imparare che non c’è mai un solo punto di vista
e che sullo stesso argomento, i punti di vista (i punti da cui si guarda)
possono essere differenti in modo tale da far vedere argomenti differenti.
Non sapeva più dove mettere i libri: ogni tanto qualcuno
gliene regalava uno, ogni tanto se ne comprava uno. E ne parlava, dicendo se
l’aveva trovato interessante, o se non ne condivideva alcune parti, o se lo
trovava decisamente poco stimolante.
E, a 93 anni, ancora ti stupiva la sua lucidità e la sua
facilità di cogliere il nocciolo di ogni discorso o di ogni chiacchiera.
E quante se ne facevano di chiacchiere in cascina! Alla
domenica sera, dopo la messa, chi voleva si fermava a mangiare: ognuno metteva
qualcosa di suo, dal cibo alla mano d’opera. Chi portava il pane, chi il salame
o il formaggio, chi le uova per una frittata, chi frutta e verdura. Lui
preparava il minestrone. A inizio settimana, con tutte le erbe di stagione, in
quantità semi-industriale. Poi diviso in contenitori e congelato, affinché
potesse servire per tutta la settimana. In cascina si mangiava panettone da
Natale a Pasqua e colomba da Pasqua all’inizio dell’estate. Una vera comunità.
Ma le chiacchiere non erano mai senza una qualche ragione:
alla fine si andava sempre al succo della faccenda, o veniva fuori un discorso
serio partendo da una barzelletta.
Molti altri l’hanno conosciuto meglio di me e meglio di me
potrebbero parlarne.
La prima volta che l’ho visto, fra me e me ho pensato:
“questo non è un prete, è lo gnomo della foresta!”.
Per niente alto, abbastanza tracagnotto, un paio di
bluejeans sformati, cintura e bretelle, camicia scozzese, maglione rosso e
berretto di lana rossa, con pon-pon. E una barba bianca e lunga, a coprire il
collo e il colletto della camicia. Ma con gli occhi sempre sorridenti. E con
quella capacità di farti sentire sempre benvenuto. Indipendentemente da chi tu
fossi: cristiano, ateo, musulmano, ebreo, agnostico o indifferente. Di sé
diceva: prima sono uomo e poi prete. E se non imparo ad essere uomo, come potrò
essere un buon prete?
E anche degli altri aveva lo stesso concetto: sono persone e
come tali sono amate da Dio, senza alcuna distinzione. Come posso io
rifiutarle?
Ica e io abbiamo chiesto al Gino di poter celebrare in
cascina i nostri 30 anni di matrimonio. Naturalmente non ha posto alcun
problema o alcuna obiezione. Ma gli abbiamo detto che i nostri figli, in questa
fase della loro vita, non amano andare a messa. E la risposta è stata: perché
imporgliela? Tanto non servirebbe a nulla. Diciamo due parole vere, senza
costrizioni. Dio è parola.
Mi ero immaginato: un prete in cascina? E avevo pensato a
quei casolari ancora in paese, magari accanto alla chiesa.
E invece. Una vecchia casa colonica, in mezzo alle colline
del Monferrato, arrangiata alla bell’e meglio, abbastanza disordinata, arredata
con mobili di recupero. Un allungamento fatto con travi, legno e pannelli di
polistirolo, con qualche panca e soprattutto ceppi d’albero a far da sgabelli,
un tetto in lamiera coibentata (miglioria degli ultimi anni, prima il tetto era
in eternit): questa è la cappella dove dir messa nella brutta stagione. Nel
resto dell’anno, Messa all’aperto: un altare in pietra, sul quale appoggiare
ogni volta un paio d’assi, tante sedie disposte di fronte all’altare e una
copertura a tiranti a proteggere dalle eventuali piogge. Copertura che,
inderogabilmente, veniva stesa all’inizio dell’ora legale e veniva smontata
alla fine dell’ora legale.
In pratica: niente fronzoli, niente cerimonie, niente
sovrastrutture. La Chiesa, cioè quelli che si raccolgono in nome di Dio, e Dio.
E lui lì, a celebrare la Messa con noi, ad ascoltare le
nostre parole e i nostri pensieri, a fornirci qualche stimolo per allargare il
nostro spirito e la nostra coscienza, a cercare di insegnarci che tutti siamo
uomini e donne, che tutti dobbiamo avere una dignità, che a nessuno può essere
negato rispetto e amore.
A insegnarci che è inutile guardare il contenitore, ma
bisogna badare soprattutto al contenuto. I contenitori cambiano, si modificano,
seguono le mode o il pensiero dell’uomo. Il contenuto è sempre lo stesso, da
migliaia d’anni.
Sarà difficile trovare ancora uomini che tutte le mattine si
alzano con l’entusiasmo e la volontà di ridefinire la propria vita.
Addio, Don Gino.
Grazie, Angelo, grazie, E' il ritratto più bello che sia stato fatto di don Gino, che oggi abbiamo salutato per l'ultima volta. E' proprio vero che la lontananza fa vedere meglio le cose. E' stata una cerimonia incredibilmente ricca e varia, fatta di di commozione e di immensi affetti, di pianti e di canti quasi lieti, di solenne musica d'organo e del suono di una fisarmonica - sembra espressamente richiesta tempo fa dal Gino stesso - che ha diffuso un valzer sotto le volte del Duomo di Casale. C'era tutta la Chiesa ufficiale, in pompa magna - non so quante decine di preti in processione e due cardinali - con paramenti viola dorati che credo mai Gino avrebbe indossato; c'era il cardinale Poletto di Torino, che ne ha fatto una bella presentazione, facendolo però un po' più prete di quanto in realtà non ci apparisse - e c'erano i suoi della cascina G, cioè noi, spersi tra la folla, silenziosi e un po' smarriti, che, nel suo nome, ci consolavamo e rinnovavamo relazioni, amicizie, affetti e l'impegno di non perderci. Per questo vi scrivo, perché abbiamo sentito anche voi vicini, insieme con i Santin e con tutti quelli che non sono potuti venire. Vi abbracciamo tutti con grande affetto; in particolare Mario mi chiede di salutarvi tanto per lui.
RispondiEliminaA presto, con grande desiderio di rivedervi.
maurizia
mi associo al commento sopra scritto. Il Gino è comunque dentro di noi con tutta la sua voglia di fare che spesso da' dei punti anche a tante persone molto più giovani. Gli addi, o meglio gli arrivederci, sono sempre comunque intrisi di lacrime, ma l'averlo avuto con noi fino ad ora è stato veramente un grande dono. Il suo modo di essere e di vivere il vangelo deve sempre essere un esempio da seguire. Grazie per questo bel ricordo del Gino e grazie per averlo condiviso con noi. Un abbraccio, Rosella
RispondiEliminaCiao Angelo (e ovviamente, ciao Ica), ogni tanto vi leggo, poco (mai) commento...un pò perchè non mi va di dire cose banali e scontate, un pò perchè non so cosa dire, se non che ho piacere di leggere la vostra esperienza....ma non è questo il punto.
RispondiEliminaoggi commento perchè anche io ho avuto la fortuna di conoscere Gino, conoscerlo poco e pochissimo rispetto a voi, ma quanto basta per ricordarlo e rimanere toccato dalla sua vita.
Grazie quindi per il ricordo che hai dipinto.
Come per tutte le persone carismatiche di questo mondo, il modo migliore per ricordarle e continuare a farle vivere, è quello di mettere in pratica e tramandare quanto ci hanno donato con la loro vita, con le loro parole, con il loro esempio.
allora continuiamo ad auto-laurearci e viviamo un pò più di provvidenza.
un caro saluto
ciao
Pat