domenica 9 marzo 2014

LE SIARC

Il Cameroun è il paese delle sigle. Ogni ufficio, attività, ministero, evento, manifestazione o qualsiasi altra cosa vi venga in mente, è rappresentato da una sigla. Anche nel nostro piccolo mondo non scherziamo: abbiamo il CED, il CFAS, il CPS, il CEFPROMAT, il CASS, il CAA (questo dovreste ricordarvelo!). Prima o poi vi spiegherò anche il significato delle altre sigle.
Per ora, limitiamoci a quella del titolo: le SIARC, ovvero il Salone Internazionale dell’Artigianato Camerunese. Un po’ come il nostro Artigiano in Fiera.

Questo Salone è sponsorizzato direttamente dal presidente del Cameroun e gli espositori non devono pagare per avere uno stand: arrivano al Salone attraverso selezioni distrettuali e regionali. Chi supera la selezione distrettuale deve poi confrontarsi con gli altri artigiani in quella regionale e finalmente guadagna il diritto di esporre al Salone. Stand gratuito, trasporto dalla residenza al Salone con mezzi del Ministero, nessun costo di partecipazione, esclusi i costi di arredamento dello stand, depliant e cose simili e i costi di permanenza a Yaoundè. Sì, non l’avevo ancora detto, ma il Salone si tiene a Yaoundè, nello spazio delle manifestazioni fieristiche. Almeno da quest’anno, perché mi hanno detto che le precedenti esposizioni si tenevano nell’Hotel de Ville, cioè il Palazzo Municipale.
Quindi: occasione importante, dieci giorni di fiera, pubblicità in ogni angolo del paese, radio e tv, possibilità di vendere.
Abbiamo superato le selezioni e abbiamo atteso che ci comunicassero le date della fiera. Le selezioni si sono tenute l’anno scorso, fra settembre e novembre, ma ancora non si sapeva la data precisa, soltanto genericamente febbraio/marzo.
E finalmente, più o meno a metà febbraio, abbiamo avuto le date di inizio e fine: 20 febbraio – 1 marzo.
Una settimana circa per preparare tutto: depliant, striscione con il nostro logo e nome (c’era già), scelta degli oggetti da portare, turni di presenza. Dalle 8 alle 18.
Alla fine, la decisione è stata quella che Alain sarebbe stato presente tutti e dieci i giorni, trovando da dormire a Yaoundè e assicurando costantemente la sua presenza. Io sarei andato lì ogni tanto, per rendermi conto di persona del tipo di manifestazione, degli altri espositori, del mondo delle fiere camerunesi e per dare un po’ il cambio, almeno per qualche ora, ad Alain.
Quindi, il 19 partenza con i mezzi del Ministero: poco più di un furgone, sul quale caricare gli espositori di Mbalmayo (4 o 5), merce e mobili.
E, appena arrivato nel quartiere fieristico e presa visione dello stand, Alain chiama urgentemente e comunica: gli stand sono di 4 metri per quattro, ogni stand due artigiani; il nostro ha il pavimento in terra battuta, sconnesso e con ciuffi d’erba che spuntano qua e là; urge tappeto per coprire il suolo e magari due sedie.
Quindi, l’indomani mattina presto carica pezzi di moquette e sedie sulla macchina e corri a Yaoundè per permettere la preparazione dello stand.
Primo giorno di esposizione, ma artigiani che organizzano gli stand: pezzi di legno, chiodi, martello, qualche altro attrezzo e via a costruire scaffali, mobili, sgabelli eccetera, sui quali esporre le diverse mercanzie.
E la notizia che, via radio e televisione, si sarebbe trasmesso che l’inaugurazione avrebbe avuto luogo il 24 febbraio!
E allora, perché portarci lì il 20? Se i potenziali visitatori vengono a sapere che l’inaugurazione è il 24, in quanti si faranno vedere nei giorni precedenti?
Si incominciano a sentire mugugni sull’organizzazione: spazi ristretti, nessun supporto, ambiente sporco e polveroso, scarsità di informazioni.
In uno spazio di 4 x 2 bisogna quindi mettere: tre cubi (o simili) in legno sui quali disporre gli oggetti in ceramica, lasciare lo spazio per le due casse con le quali sono stati trasportati detti oggetti (e altri), sistemare due sedie e, naturalmente, lasciare un minimo corridoio fra noi e l’altro artigiano coinquilino.
Che è una gentile e simpatica signora, che tinge tessuti e fa abiti. Nulla in contrario, anzi, ci siamo fatti compagnia, ma forse l’abbinamento non era dei migliori.
Negli stand di fianco al nostro: un altro ceramista, un’artigiana che fabbrica saponi e cosmetici naturali, un costruttore di mobili in bambù, un'altra artigiana sarta. Di fronte, a due metri e mezzo (tanto il corridoio per il passaggio del pubblico): altro costruttore di mobili in bambù, falegname specializzato in poltrone reclinabili (tipo sdraio) in legno pregiato, un intagliatore d’ebano (leoni, rinoceronti, giraffe e via così), altro falegname, un produttore di sigari fatti con tabacco e foglie di moringa (la moringa è una pianta dalle caratteristiche medicinali, che va bene per un mucchio di malesseri e malattie. Forse l’abbinamento con il tabacco riduce i danni del fumo e conferisce un aroma particolare?). E poi: costruttori di bracieri innovativi, che abbinano alluminio e materiali refrattari per aumentare l’efficienza e ridurre i consumi, pentole in alluminio riciclato, cacao in tutte le forme e modalità d’uso, parrucchieri, realizzatori di bijoux in legno, pietre, conchiglie, fossili eccetera, agricoltori con prodotti della terra o macchinari per la lavorazione. Vestiti, pelli, quadri, mobili, sculture in metallo, scarpe in pelle o cuoio o plastica. Anche due auto artigianali, costruite utilizzando motori a due tempi. Stand (più grandi e singoli) per espositori provenienti da altre nazioni: Senegal, Madagascar, Nigeria, eccetera.
Ogni tanto passa qualche venditore di generi di conforto: acqua (gelata), succhi di frutta, bibite di vario genere, beignets (simili ai nostri tortelli o krapfen, dolci o salati), panini. Ecco, questi sono pressocchè standard: mezza baguette, vale a dire un panino di una trentina di centimetri, in cui vengono messe, al momento: un paio o tre uova sode sminuzzate, maionese e/o piment (salsa molto piccante). Il pane viene tagliato al momento, le uova, già sode, vengono sgusciate al momento, tagliate all’interno del pane e poi una cucchiaiata di maionese ben ripartita e un cucchiaino di piment, anch’esso ben distribuito. Il venditore ha il sacco del pane in mano e in testa il secchio con le uova e gli altri ingredienti. Quando qualcuno gli chiede un panino, si accovaccia per terra e prepara il tutto.
Non c’è ancora la paura del colesterolo o del mal di fegato: un paio di panini al giorno con le uova era il pasto normale della nostra coinquilina di stand; fate un po’ voi i conti: dalle quattro alle sei uova al giorno. Costo di ogni panino? 500 Franchi, poco meno di un euro o, per capire meglio, un quarto di paga giornaliera media.
Vi fanno pagare di più, in proporzione, l’acqua fresca: la bottiglia da un litro e mezzo ancora 500 Franchi, ma soprattutto perché a chiederla sono normalmente gli stranieri o gli schizzinosi. Gli altri vanno a rifornirsi alla fontanella della fiera: quanta ne vuoi, e gratis. Magari non è proprio pulitissima, ma non si può spendere mezza giornata di paga per due panini e l’acqua!
Ogni tanto passava anche il lustrascarpe: stessa figura che abbiamo imparato a conoscere con il film Sciuscià. Ragazzino giovane, con la cassetta di spazzole lucidi che serve anche da sgabello, stessa attenzione nella pulizia e lucidatura. Ma fa anche riparazioni veloci: non soltanto il pezzo di suola, ma anche la ricucitura della tomaia, con ago e filo di cuoio.
Quando sono stato al salone (e ci sono stato in pratica un giorno sì e uno no), ho fatto un po’ il giro di tutte le botteghe, ho conosciuto un po’ di gente, ho scambiato chiacchiere su organizzazione del salone, su politica (tutti conoscono S.B. e quando lo nominano di solito ridono. Me la cavavo dicendo che, per piacere, non era il caso di rovinare una così bella giornata), sul lavoro. Anche in Cameroun si soffre la crisi. La si nota di meno, perché la loro condizione generale è certamente meno fortunata della nostra e la riduzione dei mezzi in una società già di per sé povera non crea molto scompiglio: passare da quattro a tre cucchiai di riso è decisamente diverso che passare da primo e secondo a solo il secondo (o il primo). Non posso raccontarvi tutte le chiacchiere che ho fatto, perché sono state soprattutto impressioni e sentimenti: anche da loro c’è, ogni tanto, una vena di razzismo nei confronti dei bianchi. Ma prevale la speranza di poter un giorno venire in Italia, “perché siete ricchi e si sta bene!”. D’altra parte, è questa l’immagine che le nostre televisioni trasmettono: tante macchine, tutte in ordine (rispetto allo standard camerunese), strade belle, larghe e ben tenute, ristoranti di lusso e trattorie accoglienti, vestiti alla moda, autobus, tram e metropolitane, ospedali puliti, efficienti e aperti a tutti, stipendi elevati (rispetto ai loro e con la difficoltà di capire che anche i costi sono molto più alti), vigili e poliziotti che non danno l’idea di essere a caccia soltanto di bustarelle. Per il Cameroun o altri stati come o peggio del Cameroun, tutti i paesi europei sono un paradiso. Figuriamoci qual è la nostra immagine nelle nazioni povere e per giunta in guerra!
Ma torniamo al SIARC.
Sorpresa massima! Ho trovato uno stand di formaggi del Cameroun! Anzi due! Come vi ho già detto, nonostante il Cameroun sia stato colonizzato dai francesi (anche dagli inglesi, ma è la stessa cosa), il formaggio è un alimento sconosciuto e spesso rifiutato. Non vi è la cultura del latte di mucca, raccolto e lavorato per trasformarlo in alimento dai tanti gusti e sapori, senza parlare delle altre sue qualità nutritive. Certamente è anche un problema di clima e di qualità dei pascoli e del foraggio. L’ostacolo maggiore sembra essere la quasi impossibilità di creare il caglio. E infatti i due stand che ho trovato facevano entrambi la stessa cicciottella, abbastanza insipida, con caglio importato da un missionario che per anni ha cercato di crearlo in loco senza riuscirci. Ma, chissà, forse è un primo passo.
Durante i miei giri di esplorazione (e di apprendimento), dovevo rifiutare i pressanti inviti che mi venivano fatti per entrare negli stand, vedere le merci in vendita e, soprattutto, acquistare. Ho imparato ad andare in giro con il badge “espositore” appeso al collo, ben in vista. Ma ho ottenuto pochi risultati: continuavo ad essere bianco, quindi ricco, quindi con ampie possibilità di spesa. Che Ica, un giorno che mi ha accompagnato, ha messo in pratica.
Naturalmente, molti gli espositori musulmani, soprattutto nel settore della bigiotteria e della lavorazione della pelle. Tutti i giorni, quattro volte al giorno, qualsiasi cosa stessero facendo, interrompevano, si inginocchiavano sul tappeto e recitavano le loro preghiere, con attenzione e convinzione. Ed erano cordialissimi con gli altri espositori di differenti religioni. O senza religione. Poi non sono in grado di dirvi se c’erano anche musulmani che, invece, non recitavano le loro preghiere.
E per il resto? Visitatori, affari? Una delusione, per non parlare di solenne fiasco.
La propaganda del governo ha parlato di 100.000 visitatori. Che sembrano tanti, ma se li distribuite su 12 giorni (tanto è durato il salone) e 400 espositori, sono una miseria. E queste sono le cifre ufficiali. Nel nostro stand si sono fermate mediamente dalle 4 alle 10 persone al giorno, alcune delle quali perché conoscevano già il CAA o avevano frequentato il nostro Istituto di Formazione Artistica (IFA, altra sigla). In 12 giorni abbiamo venduto addirittura 3 piatti, a un solo cliente, e con lo sconto! Tenuto conto che altri due piatti si sono rotti durante i viaggi di andata e ritorno, il risultato globale è da piangere.
Il Salone avrebbe dovuto chiudere sabato 1 marzo, ma gli organizzatori hanno deciso, il giovedì precedente, di prolungare l’apertura di altri due giorni: inutili, perché tutta la pubblicità parlava di chiusura il sabato. Domenica sera, inoltre, grande temporale in stile africano e acqua fino alle caviglie, con grossi problemi di chiusura dello stand. E questo è un particolare che mi ero dimenticato di dirvi. Alle 18-18,30 chiusura dello stand: perché viene buio e l’illuminazione era fornita da una lampadina da 60 watt ogni 2 stand (quelli disposti schiena-schiena): pochi visitatori, niente luce, perché tenere aperto? Quindi, a quell’ora, tira via tutti gli oggetti in ceramica, avvolgili nella carta da giornale, rimettili nelle casse e sistema i mobili in maniera tale da rendere difficili eventuali furti. Mi hanno detto che c’era un buon servizio di sorveglianza, ma non si sa mai. E alla mattina, ricomincia tutto da capo.
C’è stato anche un po’ di folclore: qualche espositore ha indossato abiti tribali o vestiti da cerimonia: nelle foto vedete qualcosa. A proposito di foto: le ragazze in abiti appunto da cerimonia che sembrano tanto alte, erano veramente alte, pur se con scarpe con zeppe da sei/otto centimetri. Senza scarpe superavano senza problemi il metro e ottanta.

Comunque, siamo andati ed è finito. Per parte mia, ho imparato moltissimo e conosciuto molti. Con qualcuno ci siamo scambiati mail e telefono. Ho stretto molte mani e qualcuno è venuto a cercarmi per salutarmi. Come CAA, forse abbiamo rubato qualche idea che cercheremo di sviluppare. Ma dovremo pensare molto se fiere di questo tipo sono utili alla nostra strategia commerciale o no. Ci penseremo. Abbiamo due anni per pensarci.

1 commento:

  1. Leggendo, hai un'idea di gran confusione e caos, anche pittoresco. Ma le foto danno immagini veramente interessanti.
    Giovanna

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