Il Cameroun è il paese delle sigle. Ogni ufficio, attività,
ministero, evento, manifestazione o qualsiasi altra cosa vi venga in mente, è
rappresentato da una sigla. Anche nel nostro piccolo mondo non scherziamo:
abbiamo il CED, il CFAS, il CPS, il CEFPROMAT, il CASS, il CAA (questo dovreste
ricordarvelo!). Prima o poi vi spiegherò anche il significato delle altre
sigle.
Per ora, limitiamoci a quella del titolo: le SIARC, ovvero
il Salone Internazionale dell’Artigianato Camerunese. Un po’ come il nostro
Artigiano in Fiera.
Questo Salone è sponsorizzato direttamente dal presidente
del Cameroun e gli espositori non devono pagare per avere uno stand: arrivano
al Salone attraverso selezioni distrettuali e regionali. Chi supera la
selezione distrettuale deve poi confrontarsi con gli altri artigiani in quella
regionale e finalmente guadagna il diritto di esporre al Salone. Stand
gratuito, trasporto dalla residenza al Salone con mezzi del Ministero, nessun
costo di partecipazione, esclusi i costi di arredamento dello stand, depliant e
cose simili e i costi di permanenza a Yaoundè. Sì, non l’avevo ancora detto, ma
il Salone si tiene a Yaoundè, nello spazio delle manifestazioni fieristiche.
Almeno da quest’anno, perché mi hanno detto che le precedenti esposizioni si
tenevano nell’Hotel de Ville, cioè il Palazzo Municipale.
Quindi: occasione importante, dieci giorni di fiera,
pubblicità in ogni angolo del paese, radio e tv, possibilità di vendere.
Abbiamo superato le selezioni e abbiamo atteso che ci
comunicassero le date della fiera. Le selezioni si sono tenute l’anno scorso,
fra settembre e novembre, ma ancora non si sapeva la data precisa, soltanto
genericamente febbraio/marzo.
E finalmente, più o meno a metà febbraio, abbiamo avuto le
date di inizio e fine: 20 febbraio – 1 marzo.
Una settimana circa per preparare tutto: depliant,
striscione con il nostro logo e nome (c’era già), scelta degli oggetti da
portare, turni di presenza. Dalle 8 alle 18.
Alla fine, la decisione è stata quella che Alain sarebbe
stato presente tutti e dieci i giorni, trovando da dormire a Yaoundè e
assicurando costantemente la sua presenza. Io sarei andato lì ogni tanto, per
rendermi conto di persona del tipo di manifestazione, degli altri espositori,
del mondo delle fiere camerunesi e per dare un po’ il cambio, almeno per
qualche ora, ad Alain.
Quindi, il 19 partenza con i mezzi del Ministero: poco più
di un furgone, sul quale caricare gli espositori di Mbalmayo (4 o 5), merce e
mobili.
E, appena arrivato nel quartiere fieristico e presa visione
dello stand, Alain chiama urgentemente e comunica: gli stand sono di 4 metri
per quattro, ogni stand due artigiani; il nostro ha il pavimento in terra
battuta, sconnesso e con ciuffi d’erba che spuntano qua e là; urge tappeto per
coprire il suolo e magari due sedie.
Quindi, l’indomani mattina presto carica pezzi di moquette e
sedie sulla macchina e corri a Yaoundè per permettere la preparazione dello
stand.
Primo giorno di esposizione, ma artigiani che organizzano
gli stand: pezzi di legno, chiodi, martello, qualche altro attrezzo e via a
costruire scaffali, mobili, sgabelli eccetera, sui quali esporre le diverse
mercanzie.
E la notizia che, via radio e televisione, si sarebbe
trasmesso che l’inaugurazione avrebbe avuto luogo il 24 febbraio!
E allora, perché portarci lì il 20? Se i potenziali
visitatori vengono a sapere che l’inaugurazione è il 24, in quanti si faranno
vedere nei giorni precedenti?
Si incominciano a sentire mugugni sull’organizzazione: spazi
ristretti, nessun supporto, ambiente sporco e polveroso, scarsità di
informazioni.
In uno spazio di 4 x 2 bisogna quindi mettere: tre cubi (o
simili) in legno sui quali disporre gli oggetti in ceramica, lasciare lo spazio
per le due casse con le quali sono stati trasportati detti oggetti (e altri),
sistemare due sedie e, naturalmente, lasciare un minimo corridoio fra noi e
l’altro artigiano coinquilino.
Che è una gentile e simpatica signora, che tinge tessuti e
fa abiti. Nulla in contrario, anzi, ci siamo fatti compagnia, ma forse
l’abbinamento non era dei migliori.
Negli stand di fianco al nostro: un altro ceramista,
un’artigiana che fabbrica saponi e cosmetici naturali, un costruttore di mobili
in bambù, un'altra artigiana sarta. Di fronte, a due metri e mezzo (tanto il
corridoio per il passaggio del pubblico): altro costruttore di mobili in bambù,
falegname specializzato in poltrone reclinabili (tipo sdraio) in legno
pregiato, un intagliatore d’ebano (leoni, rinoceronti, giraffe e via così),
altro falegname, un produttore di sigari fatti con tabacco e foglie di moringa
(la moringa è una pianta dalle caratteristiche medicinali, che va bene per un
mucchio di malesseri e malattie. Forse l’abbinamento con il tabacco riduce i
danni del fumo e conferisce un aroma particolare?). E poi: costruttori di bracieri
innovativi, che abbinano alluminio e materiali refrattari per aumentare
l’efficienza e ridurre i consumi, pentole in alluminio riciclato, cacao in
tutte le forme e modalità d’uso, parrucchieri, realizzatori di bijoux in legno,
pietre, conchiglie, fossili eccetera, agricoltori con prodotti della terra o
macchinari per la lavorazione. Vestiti, pelli, quadri, mobili, sculture in
metallo, scarpe in pelle o cuoio o plastica. Anche due auto artigianali,
costruite utilizzando motori a due tempi. Stand (più grandi e singoli) per
espositori provenienti da altre nazioni: Senegal, Madagascar, Nigeria,
eccetera.
Ogni tanto passa qualche venditore di generi di conforto:
acqua (gelata), succhi di frutta, bibite di vario genere, beignets (simili ai
nostri tortelli o krapfen, dolci o salati), panini. Ecco, questi sono
pressocchè standard: mezza baguette, vale a dire un panino di una trentina di
centimetri, in cui vengono messe, al momento: un paio o tre uova sode
sminuzzate, maionese e/o piment (salsa molto piccante). Il pane viene tagliato
al momento, le uova, già sode, vengono sgusciate al momento, tagliate
all’interno del pane e poi una cucchiaiata di maionese ben ripartita e un
cucchiaino di piment, anch’esso ben distribuito. Il venditore ha il sacco del
pane in mano e in testa il secchio con le uova e gli altri ingredienti. Quando qualcuno
gli chiede un panino, si accovaccia per terra e prepara il tutto.
Non c’è ancora la paura del colesterolo o del mal di fegato:
un paio di panini al giorno con le uova era il pasto normale della nostra
coinquilina di stand; fate un po’ voi i conti: dalle quattro alle sei uova al
giorno. Costo di ogni panino? 500 Franchi, poco meno di un euro o, per capire
meglio, un quarto di paga giornaliera media.
Vi fanno pagare di più, in proporzione, l’acqua fresca: la
bottiglia da un litro e mezzo ancora 500 Franchi, ma soprattutto perché a
chiederla sono normalmente gli stranieri o gli schizzinosi. Gli altri vanno a
rifornirsi alla fontanella della fiera: quanta ne vuoi, e gratis. Magari non è
proprio pulitissima, ma non si può spendere mezza giornata di paga per due
panini e l’acqua!
Ogni tanto passava anche il lustrascarpe: stessa figura che
abbiamo imparato a conoscere con il film Sciuscià. Ragazzino giovane, con la
cassetta di spazzole lucidi che serve anche da sgabello, stessa attenzione
nella pulizia e lucidatura. Ma fa anche riparazioni veloci: non soltanto il
pezzo di suola, ma anche la ricucitura della tomaia, con ago e filo di cuoio.
Quando sono stato al salone (e ci sono stato in pratica un
giorno sì e uno no), ho fatto un po’ il giro di tutte le botteghe, ho
conosciuto un po’ di gente, ho scambiato chiacchiere su organizzazione del
salone, su politica (tutti conoscono S.B. e quando lo nominano di solito ridono.
Me la cavavo dicendo che, per piacere, non era il caso di rovinare una così
bella giornata), sul lavoro. Anche in Cameroun si soffre la crisi. La si nota
di meno, perché la loro condizione generale è certamente meno fortunata della
nostra e la riduzione dei mezzi in una società già di per sé povera non crea
molto scompiglio: passare da quattro a tre cucchiai di riso è decisamente
diverso che passare da primo e secondo a solo il secondo (o il primo). Non posso
raccontarvi tutte le chiacchiere che ho fatto, perché sono state soprattutto
impressioni e sentimenti: anche da loro c’è, ogni tanto, una vena di razzismo
nei confronti dei bianchi. Ma prevale la speranza di poter un giorno venire in
Italia, “perché siete ricchi e si sta bene!”. D’altra parte, è questa l’immagine
che le nostre televisioni trasmettono: tante macchine, tutte in ordine
(rispetto allo standard camerunese), strade belle, larghe e ben tenute,
ristoranti di lusso e trattorie accoglienti, vestiti alla moda, autobus, tram e
metropolitane, ospedali puliti, efficienti e aperti a tutti, stipendi elevati
(rispetto ai loro e con la difficoltà di capire che anche i costi sono molto
più alti), vigili e poliziotti che non danno l’idea di essere a caccia soltanto
di bustarelle. Per il Cameroun o altri stati come o peggio del Cameroun, tutti
i paesi europei sono un paradiso. Figuriamoci qual è la nostra immagine nelle
nazioni povere e per giunta in guerra!
Ma torniamo al SIARC.
Sorpresa massima! Ho trovato uno stand di formaggi del
Cameroun! Anzi due! Come vi ho già detto, nonostante il Cameroun sia stato colonizzato
dai francesi (anche dagli inglesi, ma è la stessa cosa), il formaggio è un
alimento sconosciuto e spesso rifiutato. Non vi è la cultura del latte di
mucca, raccolto e lavorato per trasformarlo in alimento dai tanti gusti e
sapori, senza parlare delle altre sue qualità nutritive. Certamente è anche un
problema di clima e di qualità dei pascoli e del foraggio. L’ostacolo maggiore
sembra essere la quasi impossibilità di creare il caglio. E infatti i due stand
che ho trovato facevano entrambi la stessa cicciottella, abbastanza insipida,
con caglio importato da un missionario che per anni ha cercato di crearlo in
loco senza riuscirci. Ma, chissà, forse è un primo passo.
Durante i miei giri di esplorazione (e di apprendimento),
dovevo rifiutare i pressanti inviti che mi venivano fatti per entrare negli
stand, vedere le merci in vendita e, soprattutto, acquistare. Ho imparato ad
andare in giro con il badge “espositore” appeso al collo, ben in vista. Ma ho
ottenuto pochi risultati: continuavo ad essere bianco, quindi ricco, quindi con
ampie possibilità di spesa. Che Ica, un giorno che mi ha accompagnato, ha messo
in pratica.
Naturalmente, molti gli espositori musulmani, soprattutto
nel settore della bigiotteria e della lavorazione della pelle. Tutti i giorni,
quattro volte al giorno, qualsiasi cosa stessero facendo, interrompevano, si
inginocchiavano sul tappeto e recitavano le loro preghiere, con attenzione e
convinzione. Ed erano cordialissimi con gli altri espositori di differenti
religioni. O senza religione. Poi non sono in grado di dirvi se c’erano anche
musulmani che, invece, non recitavano le loro preghiere.
E per il resto? Visitatori, affari? Una delusione, per non
parlare di solenne fiasco.
La propaganda del governo ha parlato di 100.000 visitatori. Che
sembrano tanti, ma se li distribuite su 12 giorni (tanto è durato il salone) e
400 espositori, sono una miseria. E queste sono le cifre ufficiali. Nel nostro
stand si sono fermate mediamente dalle 4 alle 10 persone al giorno, alcune
delle quali perché conoscevano già il CAA o avevano frequentato il nostro Istituto
di Formazione Artistica (IFA, altra sigla). In 12 giorni abbiamo venduto
addirittura 3 piatti, a un solo cliente, e con lo sconto! Tenuto conto che
altri due piatti si sono rotti durante i viaggi di andata e ritorno, il
risultato globale è da piangere.
Il Salone avrebbe dovuto chiudere sabato 1 marzo, ma gli
organizzatori hanno deciso, il giovedì precedente, di prolungare l’apertura di
altri due giorni: inutili, perché tutta la pubblicità parlava di chiusura il
sabato. Domenica sera, inoltre, grande temporale in stile africano e acqua fino
alle caviglie, con grossi problemi di chiusura dello stand. E questo è un
particolare che mi ero dimenticato di dirvi. Alle 18-18,30 chiusura dello stand:
perché viene buio e l’illuminazione era fornita da una lampadina da 60 watt
ogni 2 stand (quelli disposti schiena-schiena): pochi visitatori, niente luce, perché
tenere aperto? Quindi, a quell’ora, tira via tutti gli oggetti in ceramica,
avvolgili nella carta da giornale, rimettili nelle casse e sistema i mobili in
maniera tale da rendere difficili eventuali furti. Mi hanno detto che c’era un
buon servizio di sorveglianza, ma non si sa mai. E alla mattina, ricomincia
tutto da capo.
C’è stato anche un po’ di folclore: qualche espositore ha
indossato abiti tribali o vestiti da cerimonia: nelle foto vedete qualcosa. A proposito
di foto: le ragazze in abiti appunto da cerimonia che sembrano tanto alte,
erano veramente alte, pur se con scarpe con zeppe da sei/otto centimetri. Senza
scarpe superavano senza problemi il metro e ottanta.
Comunque, siamo andati ed è finito. Per parte mia, ho
imparato moltissimo e conosciuto molti. Con qualcuno ci siamo scambiati mail e
telefono. Ho stretto molte mani e qualcuno è venuto a cercarmi per salutarmi.
Come CAA, forse abbiamo rubato qualche idea che cercheremo di sviluppare. Ma dovremo
pensare molto se fiere di questo tipo sono utili alla nostra strategia
commerciale o no. Ci penseremo. Abbiamo due anni per pensarci.
Per ora, guardatevi un po' di foto.
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Leggendo, hai un'idea di gran confusione e caos, anche pittoresco. Ma le foto danno immagini veramente interessanti.
RispondiEliminaGiovanna