È la domanda più frequente che ci arriva da parenti, amici e
conoscenti, soprattutto quando passa troppo tempo fra un post e l’altro.
In effetti, è passato poco meno di un mese, quindi sto
mantenendo la media.
E, comunque, giusto per rispondere alla vostra domanda
inespressa, va bene. Tutto procede normalmente, più il tempo passa e più ci si
abitua alle diversità di questo paese.
Ogni tanto mi arrivano notizie da altri amici che, come noi,
sono in giro per il mondo a vivere le stesse esperienze.
E, a volte, li invidio per ciò che raccontano: esperienze in
villaggi della foresta, corse notturne in macchina alla ricerca disperata di
dottori e ospedali per cercare di salvare una vita (e riuscirci!), costruzione
di scuole o ospedali, condivisione vera e profonda e quotidiana degli enormi
problemi di vita che ci sono in alcuni paesi. In pratica, tutto ciò che è
presente nell’immaginario collettivo riguardo all’Africa, ai volontari o ai
missionari.
Poi però mi chiedo anche se sarei veramente capace di
affrontare una vita del genere. Nella nostra precedente (e limitatissima!)
esperienza in Guinea Bissau abbiamo avuto l’occasione di vivere qualche giorno
in una situazione del genere: in mezzo alla foresta, in una fattoria dove
vivevano tre famiglie, senza acqua corrente e senza luce. Anzi, la luce in
teoria c’era, fornita da un generatore, ma era riservata all’attività
lavorativa e non si poteva sostenere il costo per entrambe le necessità: lavoro
e comodità in casa. Quindi, in casa, poche ore di elettricità al giorno, per
soddisfare solo l’indispensabile (i particolari, se non ve li ricordate, li trovate
qui: http://guineabissau-unviaggiodentro.blogspot.com/ i post sono quelli del 2 e 4 gennaio). Ma
vivere 3 o 4 giorni in quelle condizioni è folcloristico. Viverci dei mesi,
degli anni o tutta la vita, sarà ancora folcloristico? E per chi non ci è
abituato, sarà facile? Credo di no.
E, alla fine, mi consolo pensando due cose: 1) le vie del
Signore sono infinite, se sono/siamo arrivati qui ci sarà certamente una buona
ragione; 2) ho una discreta esperienza aziendale e sono totalmente ignorante in
agricoltura: forse sono più utile in una azienda che in mezzo ai campi!
Le uniche corse in macchina che faccio di notte sono quelle
per andare in aeroporto, a prendere qualcuno che arriva o accompagnare qualcuno
che parte: lo faccio volentieri, è piacevole, ma non c’è nessun romanticismo.
Ma è un pochino gratificante sentirsi dire dai viaggiatori che si sono sentiti
tranquilli e a loro agio.
Per molti aspetti il Cameroun è lontano mille miglia dalle
nostre condizioni di vita. Per altri aspetti ci è molto vicino. Certamente la
vita è meno comoda, ma per noi i sacrifici sono abbastanza limitati e senza
dubbio sono sopportabilissimi. E, lo ripeto, mi ci sto abituando.
A volte, durante il lavoro, mi metto a spiegare qualcosa e
vedo che mi guardano allibiti. E hanno ragione: mi sono messo a parlare in
italiano! Raramente, sono io che guardo allibito i miei colleghi (e spero che
loro non se ne accorgano): perbacco, sono neri!
Ma è nelle parole di tutti i giorni che ti accorgi di vivere
una vita normale: hai tempo di fare un salto al mercato o ci vado io? Bisogna
comprare i sacchetti della spazzatura. Ricordati di mettere fuori la lettura
del contatore, chè passano domani. Cosa c’è per cena? Ma possibile che tutti
vengano a tavola quando gli fa comodo? Neanche fossimo in albergo!
Vita normale, quotidiana, di routine.
Ti alzi alla mattina, doccia, barba (Ica, no), colazione e
vai in ufficio. Ti fermi a prendere il giornale. No, non ci sono edicole e
anche i giornali sono in pratica assenti. Arrivi in ufficio: normalissimo
ufficio: una stanza ampia, arieggiata e abbastanza luminosa, con scrivania e un
piccolo tavolo da riunioni. Meglio di tanti uffici dove ho lavorato nel
passato. Guardi la posta. No, in pratica non scrive nessuno, sia perché non c’è
un servizio di recapito postale a domicilio, sia perché i tempi di consegna
presso gli uffici postali variano da 10 a 15 giorni, o mai. È preferibile
utilizzare la posta elettronica. Quasi, perché al CAA c’è una sola postazione
internet, presso l’ufficio dell’amministrazione. Sarà una delle prossime
migliorie. A metà mattina ti vien voglia di un sano caffè. Beh, non esageriamo!
Le alternative sono due: vai a casa e te lo fai, o rinunci. Puoi andare in una
boutique (difficile per noi chiamare bar chi vende bibite, panini, carta
igienica e altro): certamente trovi uova sode e pane, birra o fanta, ma il
caffè proprio non c’è. da qualche parte, con un po’ di fortuna, una bustina di
nescafè.
Vorrete mica dirmi che questi sono sacrifici insormontabili?
E poi c’è il lavoro, quello vero.
Almeno dove si svolge il mio compito, si risolve in due
domande cruciali: come aumentare le vendite e come ridurre i costi di
produzione. Domande uguali in tutto il mondo, sempre di non facile soluzione
indipendentemente dalla latitudine in cui ti trovi.
Forse qui, come in altri paesi come questo, rese un pochino
più difficili dall’assenza di infrastrutture e servizi.
Ad esempio. Se devi fare una spedizione all’estero (è uno
dei sistemi per aumentare le vendite), la prima cosa che ti serve è un buon
sistema di imballaggio, sicuro, economico e leggero. La classica plastica a
bolli che in Italia ormai trovi in qualsiasi angolo di strada? Qui è
difficilissima da trovare. Chi la usa spesso la importa. E forse c’è chi la
produce. Ma per trovare il produttore o il rivenditore devi affidarti al passa
parola: le “pagine gialle” non esistono e internet riporta un cinquantesimo di
quello che veramente esiste. E, comunque, la plastica a bolli ormai è vietata:
da maggio scorso, lotta alla plastica. Divieto di vendere e utilizzare
qualsiasi contenitore in plastica non biodegradabile. Ottima iniziativa,
favolosa per l’ambiente, ma la produzione della plastica ecologicamente
corretta è ancora molto, molto limitata. Fino a ieri, anche le panetterie ti
mettevano il pane in un sacchetto di plastica. Poco igienico e assolutamente
non ecologico. Oggi te lo danno in mano, avvolto in un foglio di carta
riciclata. No, non pensate a quella carta nuova, fabbricata riciclando carta
vecchia o stracci. È carta riciclata perché già utilizzata per altri scopi: le
copie dei registri di fatture, scritte e sporche di carta carbone; i quaderni
di scuola ormai inservibili, naturalmente già scritti o disegnati; eccetera. Vi
sfido a mettere un chilo e passa di pomodori in un foglio A4 e vi sfido a
portarvelo dietro!
Comunque, tornando alle nostre spedizioni all’estero. Oltre
a proteggere ogni oggetto, ti serve un contenitore adatto per il trasporto. Una
bella scatola di cartone resistente, di adeguate misure. Torniamo al solito
problema: chi le fabbrica? Che dimensioni sono disponibili? Come sono fatte?
Che prezzo hanno? Se non è possibile rispondere alla prima domanda, le altre
sono inutili. Ma c’è chi fa incetta di scatoline e scatoloni usati e te li
rivende. Vai a vedere che cosa ha, cerchi ciò che può risolvere il tuo problema
e speri che ne abbia in quantità sufficiente. Tiri sul prezzo e concludi
l’affare. Poi, magari, le disfi e le ricostruisci secondo le tue reali
esigenze.
La filosofia del riciclo e la sana educazione a limitare gli
sprechi? Venite qua, c’è da imparare moltissimo, potrebbero fare dei corsi
universitari!
Le macerie del muro crollato? Servono a riempire i buchi
nelle strade.
Le assi utilizzate per costruire il muro nuovo? Ottimi
scaffali.
Le scarpe che a tuo figlio non vanno più bene? Si rivendono
sul mercato.
La t-shirt con un disegno che non ti piace più? Poche
storie: continui a utilizzarla finchè non è ridotta a brandelli. In fondo,
serve a coprirti, mica a far vedere quanto sei bello o ben vestito!
La vita, qui in Cameroun, punta decisamente
all’essenzialità: ciò che serve a vivere, più spesso a sopravvivere.
I bambini si divertono correndo e giocando a “mondo” (ve lo ricordate?). O
andando a cercare tesori sepolti nelle discariche, scansando topi e scarafaggi.
E poi costruendo, con questi tesori, carrettini a ruote, con un lungo bastone
collegato alle ruote, così lo fanno correre per strada, guidandolo attraverso
quel bastone. Naturalmente, giocano quando hanno fatto tutto il resto: scuola,
pulizie in casa e fuori casa, rifornimento d’acqua per chi non ha l’acqua
corrente in casa, cura dei fratellini più piccoli, aiuto ai genitori nel loro
lavoro. E l’età non conta: tutto questo viene fatto appena possibile, dai
sei/sette anni in su.
Per il CAA, ho pensato in che modo potevamo dotarci, per la
nostra tipografia, di una di quelle stampanti digitali, lunghe due o tre metri,
con le quali da una parte dici il titolo del libro e dall’altra esce il libro
stampato, con tanto di copertina e già pronto per la vendita. Mi hanno fatto
capire che, tutto sommato, qui è inutile. La mano d’opera ha un costo talmente
basso che l’investimento in una macchina che piega, fascicola e incolla
automaticamente non è conveniente. Piegatura, fascicolatura, incollaggio e
impacchettamento costano molto di meno, se fatti a mano.
E mi chiedo se anche le lotte sindacali per ottenere una
paga migliore e migliori condizioni di lavoro non abbiano contribuito, forse
anche notevolmente, al nostro progresso tecnologico.
O mi chiedo, magari con un pizzico di polemica, se chi
rimpiange i “bei tempi” nei quali i bambini si divertivano correndo e
sbucciandosi le ginocchia, o facendo le classiche malattie infantili, o andando
a scuola a piedi, anche quando pioveva; mi chiedo se si guarda anche l’altro
lato della medaglia. Nel 1951, quando i bambini in Italia facevano tutte quelle
cose, la speranza di vita media era di 65 anni. Cioè, un bambino nato nel 1951
aveva la “speranza” di vivere fino a 65 anni. Dieci anni dopo questa speranza
era passata a circa 68 anni. Oggi (e i bambini quelle cose non le fanno più o
le fanno molto di meno) siamo il quarto paese al mondo per speranza o
aspettativa di vita. Dopo il Giappone, Macao e Andorra (e un bel po’ prima di Francia,
Inghilterra, Germania e Paesi Scandinavi) veniamo noi, con un’aspettativa di
vita media di circa 85 anni!
Qui, i bambini vanno a scuola a piedi, con il sole e con la
pioggia; corrono dietro alle farfalle e disegnano con i pezzi di mattone sulle
strade (quando ci sono); si ammalano e guariscono (non sempre); vanno a cercare
tesori nascosti nelle discariche; sono, tutto sommato, felici.
E hanno una speranza di vita di 54 anni.
Pronti a fare cambio? Vi aspetto qui.
Siamo sempre lì. Chissà perché qualcuno pensa sempre al passato come a un tempo d oro, contro ogni evidenza. E' un mito, come il mito del buon selvaggio. in realtà mi viene sempre in mente quando a scuola facevamo le semplificazioni delle frazioni, riducendole all' osso. Gratta, gratta ho l' impressione che, tolte appunto tutte le sovrastrutture ,poco cambi, sia nel tempo ( verticale) sia nello spazio (orizzontale ) O no ?
RispondiEliminaGIO