Recentemente, sulla nostra bibbia quotidiana (Facebook) fra
i commenti relativi alla supposta “invasione” di immigrati, ne ho letto uno che
faceva riferimento alla “indolenza e pigrizia” degli africani, abituati
(secondo quel commentatore) a passare le giornate in ozio totale. E sarebbe
questo il principale motivo dell’arretratezza del continente.
Non mi è quasi mai capitato di leggere in poche righe così
tante castronerie!
Allo stesso modo, se qualcuno osservasse, nelle nostre
città, la quantità di giovani che passeggiano e cazzeggiano senza far nulla,
potrebbe dire che la crisi italiana dipende dal fatto che i giovani non fanno
nulla e sono abituati, per propria indole, a poltrire tutto il giorno.
Dimenticando che, se esiste una disoccupazione giovanile che
supera il 40%, quasi un giovane su due non ha, purtroppo, nulla da fare, anche
se volesse.
La prima castroneria è quindi quella di invertire l’ordine
dei fattori: “c’è crisi per mancanza di impegno”; e non “c’è mancanza di
impegno per crisi”.
Proviamo a fare qualche confronto, cominciando dalle scuole.
L’obbligo di andare a scuola, in Italia, è fino a 16 anni:
in pratica, un pochino più della nostra “scuola primaria”, composta da
elementari e medie.
Lo stesso obbligo esiste qui in Cameroun: obbligo di
frequenza della scuola primaria che, contrariamente che in Italia, finisce
all’incirca a dieci/undici anni.
Quindi, sia in Italia che in Cameroun, il ragazzo che,
finita la scuola dell’obbligo, va a lavorare non è assolutamente fuori legge.
Non sto dicendo se sia giusto o sbagliato, sto soltanto dicendo che, per le
leggi attuali, in Italia è consentito offrire un lavoro a un ragazzo di 16 anni
e in Cameroun questa possibilità avviene prima. In pratica, come avveniva in
Italia fino agli anni ’60.
Ma in Italia, soprattutto nelle campagne, può succedere che
un ragazzino di dieci/undici anni aiuti i genitori nella cura dei campi,
svolgendo quelle piccole attività adatte alla sua età. E quasi nessuno lo
ritiene uno scandalo: aiutare la famiglia non è mai uno scandalo.
Anche qui è lo stesso. L’economia è ancora, per gran parte
del paese, un’economia agricola di sussistenza: si coltiva ciò che serve per
uso e consumo quotidiano, andando a vendere l’eccedenza sul mercato, in modo
autonomo. Quindi tutti i membri della famiglia contribuiscono, ciascuno per le
proprie competenze e possibilità, al mantenimento della famiglia.
I giovani camerunesi, a partire dall’infanzia, sono abituati
a lavorare e a lavorare sodo.
Un operaio che lavora nel nostro centro è venuto una volta a
casa nostra per la pulizia del giardino: tagliare l’erba, raccoglierla,
smaltirla. Si è portato dietro i due figli, uno di una decina d’anni, l’altro
che non raggiungeva i sei. Affidando a ciascuno di loro compiti specifici,
adatti alle loro forze. Al nostro commento, se era giusto farli lavorare così
piccoli, la risposta è stata: “ meglio che imparino da subito che per vivere si
fa fatica. Devono abituarsi a lavorare, perché dovranno farlo per tutta la
vita. Devono imparare che qualsiasi lavoro è buono, perché ti permette di
mangiare”.
Naturalmente, era molto comprensivo con il bimbo più
piccolo, più interessato a giocare con i fili d’erba e con una palla trovata
casualmente in giardino, che a lavorare. Ma con quello più grande (dieci anni!)
non transigeva: il lavoro affidato doveva essere fatto in un certo modo e in un
tempo stabilito.
Per i bambini/ragazzi che vanno a scuola, il primo impegno è
la scuola stessa: devono studiare, devono ottenere buoni risultati, devono
rispettare gli insegnanti che, per principio, hanno sempre e comunque ragione.
Ma questo non impedisce che, negli orari fuori scuola, non abbiano soltanto la
possibilità di giocare, a cominciare dal mattino presto.
In Italia, i nostri piccoli studenti si alzano la mattina,
trovano la colazione pronta, vengono aiutati a vestirsi, a preparare la
cartella e vengono accompagnati a scuola.
In Cameroun, dove le scuole iniziano alle sette e mezza, i
bambini devono mettere in ordine il loro letto, aiutare la mamma nei mestieri
di casa, prepararsi (se ne hanno la possibilità e la fortuna) la colazione,
lavare ciò che hanno usato, preparasi la cartella, vestirsi per la scuola e
andare, a piedi e senza essere accompagnati, a scuola. Tutto ciò vuol dire che, per
essere a scuola alle 7,30, devono alzarsi almeno un’ora prima.
Dimenticavo: i più grandi (quelli che hanno già otto o dieci
anni!) devono accudire i più piccoli, controllando che facciano bene tutto ciò
che devono fare.
Gli studenti che frequentano il nostro internato sono più
grandi: vanno dagli undici anni fino a venti, qualche volta oltre, perché
magari, per motivi economici, ci sono interruzioni nel ciclo di studi e riprese
quando la situazione economica lo permette.
Questi studenti fanno le stesse cose dei più piccoli:
mettono in ordine la propria camera (divisa con altri), si preparano l’uniforme
scolastica, che tutti i giorni deve essere pulita e stirata, si preparano la
colazione, ripuliscono e rimettono in ordine tutto ciò che hanno utilizzato,
vanno alla preghiera mattutina (spesso la messa) e, finalmente, sono pronti per
andare a scuola. E guai a loro se non sono in perfetto ordine e in perfetto
orario. La sveglia, visto tutto ciò che devono fare e il fatto che c’è
necessità di fare i turni per la doccia quotidiana o per la stiratura
dell’uniforme, la sveglia, dicevo, è alle 5,30.
Periodicamente, ogni settimana, i ragazzi dell’internato si occupano della
pulizia di tutta la casa e di tutto il giardino.
Anche gli altri studenti delle scuole fanno le pulizie
dell’edificio scolastico: quotidianamente spazzatura e lavaggio dei pavimenti,
periodicamente sistemazione del giardino. Per ogni ordine di scuole: dalle
elementari alle superiori.
I ragazzi dell’internato godono del lavoro di una cuoca, che
prepara il pasto di mezzogiorno e predispone quasi tutta la cena; ma a cena, i
ragazzi, a turno, finiscono di preparare il cibo, lo portano in tavola,
rassettano le tavole alla fine del pranzo e lavano le stoviglie. Il tutto fra
le 18,30 e le 20,30. Poi hanno mezz’ora di pausa e alle 21 studiano assieme per
un’oretta, controllati e aiutati dai nostri assistenti. Alle 10,30, la ritirata
per tutti. Quelli che sono in prossimità di esami, magari vanno avanti a
studiare, nelle loro camere, fin oltre mezzanotte. Ma non sono esentati dalla
sveglia delle cinque e mezza e dagli altri lavori.
In mezzo a tutto questo, i più grandi, quelli che a volte
fanno fatica a pagare la retta della scuola o quella dell’internato, si vanno a
cercare qualche lavoro spot per guadagnare qualcosa. E i lavori più probabili
sono quelli manuali e di fatica. In Italia c’è la possibilità, per gli studenti
più preparati, di guadagnare qualcosa dando ripetizioni, o facendo
volantinaggio, o addirittura trovando un impiego part time presso un call
center. Qui, si fa il taglio dell’erba, la potatura degli alberi (senza sega a
motore e scale!) o il trasporto di cemento e mattoni, con le carriole.
Quindi, se parliamo dai vent’anni in giù, questo è il tipo
di “ozio” abituale.
Anche qui, il livello di disoccupazione è intorno al 40%,
per tutti, non soltanto per i giovani. In Italia, a causa della crisi, il
livello di disoccupazione è passato dall’8/9% a circa il 13%. Per i giovani in
cerca di primo impiego, purtroppo siamo alle percentuali già dette.
In Cameroun, la disoccupazione al 40/45% è per tutta la
popolazione, almeno secondo i dati ufficiali. Secondo quelli ufficiosi, i
disoccupati sono molti di più.
Eppure, durante il giorno, i bar sono vuoti. I maggiori
assembramenti di persone si trovano presso gli ospedali (gente che cerca di
curarsi) e tanti ragazzi e giovani si vedono presso il mercato o i supermarket:
ti aiutano a trasportare i pacchi e la spesa, in cambio di qualche moneta. O
vanno presso le poche imprese, a vedere se c’è la possibilità di recuperare un
lavoro qualsiasi, anche soltanto per un giorno o due.
E quando lo trovano, sono estremamente disponibili ad
accettare qualsiasi tipo di paga e a dimostrare la loro capacità di lavorare,
anche ben oltre le otto ore canoniche, qualsiasi sia il tipo di lavoro.
E la maggior parte delle imprese fanno capo a multinazionali
estere, che qui trovano manodopera a bassissimo costo e, in pratica, senza
diritti sindacali. E che hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo. E che hanno la possibilità e il potere di
“convincere” le autorità a rendere estremamente difficile, a volte illegale,
ogni tipo di protesta o richiesta sindacale.
Ed ecco che, gira che ti rigira, ritorniamo al punto
cruciale: quanta responsabilità c’è nei paesi ricchi per la situazione di
sottosviluppo dei paesi poveri?
Se dobbiamo parlare di ozio, ce n’è molto di più nei paesi
ricchi che in quelli poveri.
Qui, quando c’è la possibilità di lavoro, le persone non si
limitano a rimboccarsi le maniche: si tolgono la camicia!
Da noi, una parte della disoccupazione è relativa alla
difficoltà di trovare un “determinato” tipo di lavoro, altrimenti, se tutti i
disoccupati italiani fossero disponibili a svolgere qualsiasi tipo di lavoro,
purchè lavoro, quante possibilità di impiego avrebbero gli immigrati?
Quanti giovani potrebbero fare i badanti o le badanti? E
perché questo lavoro è svolto quasi esclusivamente da immigrati? Perché sono
disponibili a lavorare per un tozzo di pane? E chi glielo offre questo tozzo di
pane?
Ci fa comodo trovare i pomodori a 1 euro al chilo? E quanto
può essere pagato chi raccoglie i pomodori, per poterli vendere a 1 euro al
chilo?
Quanta responsabilità c’è in tutti noi, se l’immigrato che
si lamenta del trattamento da schiavo viene bollato subito come ingrato?
“Prima gli italiani!”. Soltanto nei diritti o anche nei
doveri?
A chi racconta la castroneria dell’ozio africano: vieni qua
a lavorare. Incomincia a lavorare all’aperto alle sei di mattina, per
utilizzare le ore più fresche. Poi trasferisciti all’interno quando il sole
picchia forte. E vai avanti fino a quando fa buio, cioè fin verso le 18,30.
Dodici ore di lavoro, pagate per otto.
Fai tutto questo senza tutti gli aiuti tecnologici che trovi
in Italia: senza scale o elevatori automatici, arrampicati su alberi di trenta
metri e taglia i rami con il solo aiuto di un machete, difendendoti
contemporaneamente dalle termiti, che ti si infilano nei calzoni. Il machete è
a tuo carico, non te lo fornisce l’azienda o il cliente. E quando ha perso il
filo, tocca a te riaffilarlo o comprarne uno nuovo.
Non perdere tempo e cerca di non farti male, perché rischi
di perdere il lavoro!
Soprattutto, prima di scrivere certe castronerie (invasione,
delinquenza, tutti sani e forti, pigrizia, nessuna voglia di lavorare, furto di
lavoro, eccetera) cerca di informarti e informati ancora.
Il vecchio pensionato italiano che ruba la scatola di
sardine al supermarket per fare cena, è immediatamente giustificato.
L’immigrato che fa la stessa cosa per gli stessi motivi, è
immediatamente linciato.
Se entrambi hanno rubato per fame, entrambi dovrebbero
godere delle stesse attenuanti.
Se entrambi hanno rubato per “piacere”, entrambi dovrebbero
avere lo stesso trattamento.
Ho l’impressione che dietro agli slogan “prima gli
italiani”, ci sia il vecchio concetto: ai bianchi tutti i diritti, ai neri
tutti i doveri. E che stiano zitti!!! Una volta questo sistema si chiamava schiavismo, oggi si chiama
“difesa della patria”.
Ma questi sono ragionamenti “buonisti”. Ultima castroneria.
Coinciso come al solito.....ma come al solito grande lucidità nel contrapporre ai piü beceri luoghi comuni, dati di fatto ed esperienze di vita vissuta...Ciao
RispondiEliminaProvo tanta rabbia e fastidio quando sento commenti stupidi e inconsistenti (voglio essere gentile ) come quelli che riporti, dietro ai quali c'è solo una profonda ignoranza, ma contro cui non c'è ragionamento o spiegazione che tenga.
RispondiEliminaO no?