sabato 20 aprile 2013

Mbalmayo

Arrivati, viaggio buono anche se lungo e noioso. Con qualche piccola sorpresa all’aeroporto di Istanbul, dove il famosissimo “caffè turco” per prima cosa non è turco; è fatto da una italianissima Cimbali (tipo quelle domestiche, non quelle da bar!), mal regolata e che quindi fa un “bel” caffè lungo e slavato e, infine, costa soltanto l’equivalente di 4,80 euro! Però il caffè è tostato al momento, visto il tempo che abbiamo dovuto aspettare.
A parte questa insignificante disavventura, il viaggio, come dicevo, è stato buono: nessun ritardo, servizio in aereo piacevole, ottima scelta di film da poter vedere durante le sette ore fra Istanbul e Yaoundè, tanto tempo per dormicchiare e per pensare: come andrà?
Arrivo, come previsto alle 23,05 (forse anche un paio di minuti prima) corrispondenti alle nostre 23,05 senza ora legale, attesa limitata dei bagagli. Giusto il tempo sufficiente per togliere giacca, golf, rimboccare le maniche della camicia e pensare che forse anche le scarpe sono di troppo. Però fuori dall’aeroporto c’è un po’ d’aria, quel tanto che basta per non farti tenere spalancato il finestrino dell’auto durante il viaggio fra Yaoundè e Mbalmayo.
Corriamo (si fa per dire) sull’autostrada: 2 corsie, una per ogni senso di marcia, nessun guardrail fra una e l’altra: più o meno come la strada fra Candia e Mortara. Però alla fine c’è il “casello” per il pagamento del pedaggio: 4 bidoni piazzati in mezzo alla strada, che riducono la larghezza ad una sola corsia e tre persone in piedi in mezzo alla strada che incassano i soldi del pedaggio.
Siamo arrivati a Mbalmayo, ormai è passata mezzanotte e il fatto di essere entrati a Malpensa alle nove di mattina incomincia a farsi sentire. Scarichiamo i bagagli, ci accompagnano alla casetta che ci hanno preparato, qualche istruzione per il giorno dopo e, finalmente, buona notte. Così almeno pensavamo. Ma le istruzioni per la mattina dopo ci hanno lasciato di stucco: “normalmente c’è la messa alle 6,30 e la colazione alle 7,30, ma siete stanchi e quindi se anche arrivate alle 8 ci sarà ugualmente la colazione. Ma vi sarà difficile dormire oltre le 7, perché arrivano tutti i bambini dell’asilo e sapete come sono i bambini….”.
Eh già! La nostra casetta fa parte del complesso scolastico e precisamente della parte riservata all’asilo infantile (questo asilo infantile incomincia a perseguitarmi! Collegando la faccenda all’Africa, incomincio a credere alla stregoneria!). E in effetti i bambini incominciano ad arrivare qualche attimo prima delle 7: si chiamano fra di loro, si salutano come se fossero tutti sordi e non si vedessero da 30 anni, salutano mamme, sorelle e zie che li hanno accompagnati e si riversano, silenziosamente e disciplinatissimi (!) nelle rispettive aule (confinanti con la nostra casetta) dove finalmente ritrovano (con esclamazioni di gioia che tutto il mondo deve sentire) gli oggetti che avevano abbandonato il giorno prima.









Come è andata a finire? Qualche minuto dopo le 7,30 eravamo a tavola con gli altri a fare colazione!
Abbiamo conosciuto gli altri volontari italiani che sono qui a svolgere anche loro un servizio. Una decina di persone, in età compresa fra i 30 e gli 84 anni: chi gestisce la segreteria e l’amministrazione, chi si occupa dell’ospedale, chi si occupa di insegnare l’arte ceramica (l’ottantaquattrenne) e lo fa ormai da 30 anni, chi segue la parte scolastica. E naturalmente i camerunesi che qui lavorano, nell’ospedale, nella scuola, nell’asilo, nel pensionato studenti, nel Centro di Arti Applicate e nella stamperia.
E, naturalmente, la natura africana: verde, rigogliosa, che ti viene addosso con la sua bellezza selvaggia anche quando è coltivata. E anche all’interno di un complesso dove siamo noi adesso, con case, vialetti in cemento, campi di calcio in asfalto o ghiaia, portici sotto quali ripararsi dalla pioggia e sotto i quali poter percorrere quasi tutto il complesso, in mezzo a tutto questo cemento crescono piante altissime e fronzute, manghi pieni di frutti, altre piante con tronchi incredibili e radici che spuntano da sotto terra quasi fossero tronchi in miniatura. E animali a metà strada fra la lucertola e l’iguana, lunghi anche più di una spanna, con la testa, il collo e la coda (quella tipica delle lucertole) di un bel colore rosso-arancio e il resto del corpo di un colore indefinibile fra il grigio e il verde. E, rispetto alle lucertole, larghi tre volte.










E poi, durante il pranzo, dal cielo già nuvoloso incomincia a scendere la pioggia: una pioggerella che si trasforma velocissima in scrosci abbondanti e violenti, che batte sui tetti in lamiera con un rumore fortissimo, che in pochi attimi riempie gli scoli che circondano ogni casa. Come se, intorno ad ogni casa, si fosse materializzato un torrentello impetuoso. Piove così per un’ora abbondante; poi, nel giro di un’altra mezz’ora, la pioggia diminuisce sempre di più e smette definitivamente (per oggi!). E compaiono le rane: a decine, ti accompagnano per tutto il tragitto, escono dai fossi e dai cespugli e saltellano a destra e sinistra, anche sulle scarpe.
Ha smesso, possiamo andare a vedere cosa c’è fuori dal complesso dove viviamo. Non ci sono le strade asfaltate, solo terra battuta, solcata dai rivoli della pioggia, che lascia segni profondi e buche. E solo perché sulla strada c’è sempre qualcuno che cammina, corre, trasporta o vende, la vegetazione si ferma ai bordi della strada. Ma, anche se le strade sono in terra battuta e maltenute, c’è sempre a fianco un canale di scolo per l’acqua piovana.
E c’è anche un servizio di trasporto pubblico: è garantito da motociclisti, che vengono a prenderti sotto casa e mettono a disposizione un posto sulla moto, a volte anche due posti. Oltre a quello del guidatore, ovviamente.
E ora passiamo un momento alle noti dolenti.
Scarsità di comunicazioni.
C’è il telefono, naturalmente, ma non siamo ancora riusciti a comprare un sim locale.
C’è internet, ma una sola postazione per tutti. Esisteva un collegamento veloce, ma causa furto di alcune attrezzature ora non c’è più. C’è una chiavetta, che permette un collegamento a 126K: lentissimo quasi quanto il vecchio doppino telefonico.
Quindi, non aspettatevi interventi frequenti e, per le foto, invocate qualche miracolo: uno degli attuali ospiti ha impegnato 4 ore per spedire 4 foto. Un’ora a foto. Non sono ancora pronto per una missione del genere! Vedremo in futuro se sarà possibile migliorare le cose.
Fra l'arrivo ed ora abbiamo incominciato a conoscere gli altri volontari presenti, la struttura, le attività e, soprattutto, i problemi. C'è grande disponibilità ed enorme attesa. E quest'ultima cosa è la più preoccupante!
Per ora, tanti saluti a tutti.

2 commenti:

  1. Carissimi Angelo e ica ho letto con immenso piacere e curiosità il vostro post. Dalla descrizione mi sembrava di vedere le cose: che meraviglia. però per ora sono contenta di rivedermi a Candia con il mio computer che mi permette di rispondervi in poco tempo, con acqua, luce gas e tutte le comodità di cui forse non riuscremmo più fare a meno. Continuate (ovviamente con i tempi permessi dai mezzi a disposizione) a tenerci informati, perchè possiamo vedere attraverso i vostri occhi tutto quel mondo per noi lontano non solo come km ma anche e sopratutto come vissuto. Un abbraccio Rosella e c.

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  2. Ho letto di corsa e fino all'ultima parola quello che avete scritto, e lo rileggerò ancora. Fa venire voglia di prendere 4 stracci e partire e prima o poi lo farò, quando avrò finito con la mia prima missione: crescere i miei figli e spedirli nel mondo.
    Un abbraccio da una poco presente ma spero gradita amica.

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