venerdì 13 dicembre 2013

Viaggio a Douala

Mercoledì scorso siamo andati a Douala, circa 260 chilometri a est di Yaoundè. Io e un mio collaboratore, che sta diventando, poco alla volta, il responsabile commerciale del Centro d’Arte Applicata.
Quindi: 45 km a nord fino a Yaoundè e poi 256 a est.
Prima dovevamo fermarci a Edea, una sessantina di km prima di Douala, per visitare un nostro punto di vendita delle ceramiche.
Fra me e me avevo pensato: “circa tre ore per arrivare a Edea, un paio d’ore per quello che dobbiamo fare lì, un’oretta scarsa per arrivare a Douala, il tempo per mangiare qualcosa, un altro paio d’ore per sbrigare gli affari a Douala. Se iniziamo il ritorno verso le 17, siamo di ritorno a casa per l’ora di cena o poco dopo. Partenza alle 7 di mattina e dovremmo farcela.”

Ma Alain, il mio collaboratore, ha incominciato a smontare i miei calcoli: “meglio se partiamo al più tardi verso le 6,30. Sarebbe meglio prima, però… Ok, decidiamo per le 6,30”
Ho accettato il suo consiglio, perché conosce molto meglio di me strade e traffico.
Nel passato vi ho già detto che da Mbalmayo a Yaoundè c’è “l’autostrada”. E anche fra Yaoundè e Douala.
Autostrada pochissimo più larga delle nostre provinciali: una corsia per un senso di marcia, una corsia per l’altro senso. Un punto di pedaggio per arrivare a Yaoundè, altri tre punti di pedaggio per arrivare a Douala. Non si possono chiamare “caselli”: arrivi e devi andare molto piano perché 50 metri prima e 50 metri dopo il punto di pedaggio per obbligarti a rallentare in pratica hanno rialzato il fondo stradale di una ventina di centimetri, con un semplice e banale gradino. Come se tu dovessi salire sul marciapiede!
Ai due lati della macchina inoltre ti si affiancano adulti e bambini che vendono arachidi, banane, fazzoletti di carta, spiedini di carne, bastoni di manioca, caramelle, succhi e altre bevande, eccetera. Il casellante, uomo o donna che sia, è lì, in mezzo alla strada, con in mano soldi e biglietti: gli dai 500 franchi (tariffa fissa per ogni tratta) e lui ti stacca il biglietto. Il suo aiutante sposta la barra chiodata e tu puoi ripartire. Potete quindi immaginare che se davanti a voi ci sono una decina di altri veicoli, il tempo perché arrivi il vostro turno è abbastanza lungo.
Il mio ragionamento immaginava che si potesse tenere una media di un’ottantina di chilometri all’ora. Avevo già fatto quel tragitto a maggio e c’era decisamente poco traffico.
Al contrario, ieri c’erano più camion che auto e, nelle salite, la loro velocità rallentava parecchio. E, come sempre succede, quando hai sufficiente visibilità per il sorpasso il traffico in senso inverso è fitto. Quando non hai visibilità (e non vuoi rischiare come fanno i camerunesi) non passa nessuno! Sarà forse per questo motivo che i camerunesi sorpassano sia in curva che sui dossi.
A proposito: il guidatore ero io, naturalmente. Alain non ha la patente e comunque le vetture del COE possono guidarle solo persone appartenenti al COE.
Torniamo al nostro viaggio. Alle 9,30 siamo all’ultimo pedaggio prima di Edea, poi ci saranno ancora una quarantina di chilometri per arrivare alla nostra prima tappa. Sembra che abbia sbagliato di poco.
Invece, dopo il “peage” (pedaggio) c’è anche il “pesage” (la pesa per i camion). Quindi una fila interminabile di camion di tutte le dimensioni che blocca la strada. Di tutte le dimensioni non è proprio vero: sono sottoposti alla pesa soltanto quelli che superano un determinato carico, quindi i più grossi.
Come è abitudine dalle nostre parti, pur fra mille imprecazioni sono lì, in fila, in attesa che i camion davanti a me arrivino al famoso “pesage” e nella speranza che l’autista del tir dietro di me abbia il piede prontissimo a frenare. Invece costui incomincia a strombazzare e mi fa segno di spostarmi a sinistra. A sinistra? E dove vado? Sulla corsia opposta, contromano?
Alain, gentilmente, mi spiega che in effetti bisogna proprio fare così: invadere la corsia opposta, approfittando dei momenti in cui non passa nessuno e superare la fila dei camion in attesa di spostarsi a destra nella piazzola della pesa. Prendo atto, mi accodo a un pullman (non soggetto a pesa) e vado: ogni tanto mi stringo a destra, per far passare i veicoli in senso inverso che, pur avendo fatto la stessa manovra sulla corsia opposta, adesso sono scandalizzati di quello che sto facendo io!
E va bene: sfiorando camion e macchine a destra e a sinistra, superiamo finalmente la coda e il blocco della pesa e ci troviamo sugli ultimi 40 chilometri prima di Edea. Abbiamo perso soltanto una ventina di minuti.
Ma. Nonostante dovesse essere già finita da un pezzo, la stagione delle piogge sta continuando e ci troviamo sotto un acquazzone di quelli belli forti, dove la visibilità diminuisce di un bel po’ e di conseguenza anche la velocità. Difficile (e da incoscienti) superare i 50 km/ora. A un certo punto sfioro la cima di un albero, che è caduto sull’altra corsia occupandola tutta.
Ok! La pioggia diminuisce, smette e si vede la periferia di Edea. Ultimo sprint! Col cavolo!
La cittadina non vuole che al suo interno i veicoli vadano a velocità elevata. Niente vigili, niente autovelox o velok o come diavolo si chiamano. Solo dossi. Piccoli. Una mezza dozzina di centimetri di altezza e altrettanti di larghezza, come dei tubi fissati per terra. A gruppi di tre per volta. Ogni “tubo” distante circa 4 metri dal successivo, poi una ventina di metri, altro gruppo di tre. Cinquecento metri e altro gruppo di tre più tre. Altri cinquecento metri e un dosso più grande: una cinquantina di centimetri di larghezza e una ventina in altezza. Più dolce, ma devi affrontarlo piano, molto piano se non vuoi spaccare la macchina e la schiena.
Finalmente i “dos d’ans” (dorso d’asino) finiscono. Siamo arrivati in città e il traffico ormai ti impedisce di superare certe velocità.    
Facciamo la visita al nostro punto vendita, quattro chiacchiere con il venditore, inventario del consegnato e del venduto, calcoli economici, accordi per il prossimo futuro. Poi visita ad un potenziale altro punto vendita, spero di prossima apertura e infine, all’alba delle 13, ripartenza verso Douala.
Altri 40 chilometri come i precedenti, ultimo pedaggio sempre con lo stesso sistema e, finalmente, ingresso in città.
Douala è una città grande e moderna, molto attiva sia nel commercio che nell’industria, ha un porto sull’oceano, l’unico porto commerciale del Cameroun, dal quale partono e arrivano navi portacontainer, merci e anche passeggeri. È una città di almeno 2.000.000 di abitanti e più o meno altrettanti pendolari di ogni tipo. Potete quindi immaginare quale sia il traffico in entrata e uscita dalla città.
Che ha soltanto due (2) vie d’accesso e uscita.
A qualsiasi ora del giorno vi sono ingorghi e code, ma agli orari di punta gli ingorghi (emboutillages) sono indescrivibili.
Dalla periferia a dove dobbiamo andare noi ci mettiamo un’oretta, forse qualcosa di più. Arriviamo al nostro punto vendita verso le tre del pomeriggio. Naturalmente non abbiamo ancora mangiato. Per riuscire a ripartire, secondo il mio programma, verso le 17, dovremmo sbrigare la visita ai due punti vendita in meno di un’ora, impiegarne un’altra per uscire dalla città e ripartire. È ormai chiaro che il mio programma era totalmente sbagliato.
Il primo punto vendita è un  ristorante abbastanza centrale, gestito da una coppia di greci che sono in Cameroun da più di 40 anni. Sono ormai entrambi, marito e moglie, intorno agli 80 anni. Ma si muovono ancora bene e gestiscono il loro locale con piglio deciso e molto commerciale. Aprono alle 9 e chiudono a mezzanotte: a qualsiasi ora potete farvi fare una pizza (accettabile) o un piatto di spaghetti o un piatto di calamari o gamberi di mare. La cucina è sempre aperta e i camerieri sono molto gentili e disponibili.
All’ingresso c’è un grande scaffale, con tutti i nostri oggetti esposti. E le vendite sono abbastanza buone. La clientela è soprattutto estera e non fanno difficoltà sui prezzi.
Ci hanno accolto molto bene, quattro chiacchiere di reciproca conoscenza, qualche commento sulle rispettive situazioni politiche in Italia e Grecia (ve ne risparmio!) e, finalmente,  si parla d’affari davanti a un buon caffè Illy.
E qui ho l’ennesima conferma della mancanza di una reale politica commerciale della nostra azienda. La convinzione che sia possibile vendere ciò che facciamo e non ciò che vuole il cliente!
Ma se il cliente (o il venditore) ti chiede delle scatole, perché gli proponi dei vasi o dei piatti?
Ma va bene lo stesso, sono problemi di facile soluzione.
Anche qui, inventario, calcoli economici, incasso, saluti e via per il prossimo appuntamento, ma solo dopo aver mangiato, finalmente, una pizza. E bevuto un ottimo succo d’ananas bio.
Incomincia a farsi strada l’ipotesi di fermarci a dormire a Douala e ripartire l’indomani mattina. Non è un’idea che mi vada molto a genio, ma ci penseremo.
La visita successiva è stata piuttosto deludente e perciò anche piuttosto breve.
Ormai è buio, sono passate le sei e mezza, dobbiamo prendere la decisione.
Calcoliamo 4 ore di ritorno, potremmo essere a casa un po’ prima di mezzanotte.
Alain mi consiglia di fermarci: è notte, la strada è lunga, il traffico è soprattutto composto di grossi camion, compresi quelli per il trasporto di tronchi.
Ma per me l’idea di dormire nel mio letto ha il sopravvento: è deciso, torniamo stasera.
Se Dante facesse oggi la sua Divina Commedia, l’uscita da Douala sarebbe certamente un girone dell’inferno: file interminabili, camion che fanno inversione di marcia, macchine che cercano di scavalcare le code passandoti a destra, sulla terra e sull’erba, o a sinistra andando contromano. E moto, moto, ancora moto. Con due, tre o quattro persone sopra. Quattro moto a destra, altre quattro a sinistra; e devi bloccarti di colpo perché altre due stanno attraversando immediatamente di fronte a te. Devi stare attaccato alla macchina che ti precede, in modo da non lasciare spazio alle moto che da destra passano a sinistra (o viceversa) alla ricerca degli spiragli che gli permettano di avanzare più veloci.
E non bastano le moto. Ci sono anche carretti spinti a mano e pedoni. I primi, classici carretti a due ruote, caricati di traversine di legno lunghe anche 4 metri, con una persona che spinge. E pedoni: quelli che vanno a casa a piedi, che si spostano da un lato all’altro della strada, che cercano di venderti qualcosa. E non siamo all’interno della città! Siamo su una delle due strade d’accesso/uscita all’estrema periferia della città.
Ci sono quattro rotonde da superare. Qui vige ancora il concetto che chi entra nella rotonda ha la precedenza e quindi è più facile creare i classici ingorghi a pettine. Per questo motivo, le precedenze non sono rispettate da nessuno: il primo che riesce a mettere la ruota davanti all’altro, ha vinto. Ha guadagnato un metro, ma ha vinto.
Intorno alle nove, finalmente, usciamo dalla città e imbocchiamo la cosiddetta autostrada. Ci saranno i quattro pedaggi complessivi da superare, ma il più è fatto. Ormai è solo questione di tempo e di fortuna: quanti meno camion incontreremo, tanto prima arriveremo.
Siamo arrivati ben oltre mezzanotte, ma ce l’abbiamo fatta.
La prossima volta ascolterò i consigli di Alain: a Douala, almeno 2 giorni!
   

2 commenti:

  1. Devi decisamente accantonare la tua mentalità occidentale e adeguarti agli usi e costumi e...alle disponibilità di costì :)
    Buon Natale a te e Ica

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