sabato 10 ottobre 2015

Ozio africano

Recentemente, sulla nostra bibbia quotidiana (Facebook) fra i commenti relativi alla supposta “invasione” di immigrati, ne ho letto uno che faceva riferimento alla “indolenza e pigrizia” degli africani, abituati (secondo quel commentatore) a passare le giornate in ozio totale. E sarebbe questo il principale motivo dell’arretratezza del continente.

Non mi è quasi mai capitato di leggere in poche righe così tante castronerie!
Allo stesso modo, se qualcuno osservasse, nelle nostre città, la quantità di giovani che passeggiano e cazzeggiano senza far nulla, potrebbe dire che la crisi italiana dipende dal fatto che i giovani non fanno nulla e sono abituati, per propria indole, a poltrire tutto il giorno.
Dimenticando che, se esiste una disoccupazione giovanile che supera il 40%, quasi un giovane su due non ha, purtroppo, nulla da fare, anche se volesse.
La prima castroneria è quindi quella di invertire l’ordine dei fattori: “c’è crisi per mancanza di impegno”; e non “c’è mancanza di impegno per crisi”.
Proviamo a fare qualche confronto, cominciando dalle scuole.

L’obbligo di andare a scuola, in Italia, è fino a 16 anni: in pratica, un pochino più della nostra “scuola primaria”, composta da elementari e medie.
Lo stesso obbligo esiste qui in Cameroun: obbligo di frequenza della scuola primaria che, contrariamente che in Italia, finisce all’incirca a dieci/undici anni.
Quindi, sia in Italia che in Cameroun, il ragazzo che, finita la scuola dell’obbligo, va a lavorare non è assolutamente fuori legge. Non sto dicendo se sia giusto o sbagliato, sto soltanto dicendo che, per le leggi attuali, in Italia è consentito offrire un lavoro a un ragazzo di 16 anni e in Cameroun questa possibilità avviene prima. In pratica, come avveniva in Italia fino agli anni ’60.
Ma in Italia, soprattutto nelle campagne, può succedere che un ragazzino di dieci/undici anni aiuti i genitori nella cura dei campi, svolgendo quelle piccole attività adatte alla sua età. E quasi nessuno lo ritiene uno scandalo: aiutare la famiglia non è mai uno scandalo.
Anche qui è lo stesso. L’economia è ancora, per gran parte del paese, un’economia agricola di sussistenza: si coltiva ciò che serve per uso e consumo quotidiano, andando a vendere l’eccedenza sul mercato, in modo autonomo. Quindi tutti i membri della famiglia contribuiscono, ciascuno per le proprie competenze e possibilità, al mantenimento della famiglia.
I giovani camerunesi, a partire dall’infanzia, sono abituati a lavorare e a lavorare sodo.
Un operaio che lavora nel nostro centro è venuto una volta a casa nostra per la pulizia del giardino: tagliare l’erba, raccoglierla, smaltirla. Si è portato dietro i due figli, uno di una decina d’anni, l’altro che non raggiungeva i sei. Affidando a ciascuno di loro compiti specifici, adatti alle loro forze. Al nostro commento, se era giusto farli lavorare così piccoli, la risposta è stata: “ meglio che imparino da subito che per vivere si fa fatica. Devono abituarsi a lavorare, perché dovranno farlo per tutta la vita. Devono imparare che qualsiasi lavoro è buono, perché ti permette di mangiare”.
Naturalmente, era molto comprensivo con il bimbo più piccolo, più interessato a giocare con i fili d’erba e con una palla trovata casualmente in giardino, che a lavorare. Ma con quello più grande (dieci anni!) non transigeva: il lavoro affidato doveva essere fatto in un certo modo e in un tempo stabilito.

Per i bambini/ragazzi che vanno a scuola, il primo impegno è la scuola stessa: devono studiare, devono ottenere buoni risultati, devono rispettare gli insegnanti che, per principio, hanno sempre e comunque ragione. Ma questo non impedisce che, negli orari fuori scuola, non abbiano soltanto la possibilità di giocare, a cominciare dal mattino presto.
In Italia, i nostri piccoli studenti si alzano la mattina, trovano la colazione pronta, vengono aiutati a vestirsi, a preparare la cartella e vengono accompagnati a scuola.
In Cameroun, dove le scuole iniziano alle sette e mezza, i bambini devono mettere in ordine il loro letto, aiutare la mamma nei mestieri di casa, prepararsi (se ne hanno la possibilità e la fortuna) la colazione, lavare ciò che hanno usato, preparasi la cartella, vestirsi per la scuola e andare, a piedi e senza essere accompagnati, a scuola. Tutto ciò vuol dire che, per essere a scuola alle 7,30, devono alzarsi almeno un’ora prima.
Dimenticavo: i più grandi (quelli che hanno già otto o dieci anni!) devono accudire i più piccoli, controllando che facciano bene tutto ciò che devono fare.
Gli studenti che frequentano il nostro internato sono più grandi: vanno dagli undici anni fino a venti, qualche volta oltre, perché magari, per motivi economici, ci sono interruzioni nel ciclo di studi e riprese quando la situazione economica lo permette.
Questi studenti fanno le stesse cose dei più piccoli: mettono in ordine la propria camera (divisa con altri), si preparano l’uniforme scolastica, che tutti i giorni deve essere pulita e stirata, si preparano la colazione, ripuliscono e rimettono in ordine tutto ciò che hanno utilizzato, vanno alla preghiera mattutina (spesso la messa) e, finalmente, sono pronti per andare a scuola. E guai a loro se non sono in perfetto ordine e in perfetto orario. La sveglia, visto tutto ciò che devono fare e il fatto che c’è necessità di fare i turni per la doccia quotidiana o per la stiratura dell’uniforme, la sveglia, dicevo, è alle 5,30.
Periodicamente, ogni settimana,  i ragazzi dell’internato si occupano della pulizia di tutta la casa e di tutto il giardino.
Anche gli altri studenti delle scuole fanno le pulizie dell’edificio scolastico: quotidianamente spazzatura e lavaggio dei pavimenti, periodicamente sistemazione del giardino. Per ogni ordine di scuole: dalle elementari alle superiori.
I ragazzi dell’internato godono del lavoro di una cuoca, che prepara il pasto di mezzogiorno e predispone quasi tutta la cena; ma a cena, i ragazzi, a turno, finiscono di preparare il cibo, lo portano in tavola, rassettano le tavole alla fine del pranzo e lavano le stoviglie. Il tutto fra le 18,30 e le 20,30. Poi hanno mezz’ora di pausa e alle 21 studiano assieme per un’oretta, controllati e aiutati dai nostri assistenti. Alle 10,30, la ritirata per tutti. Quelli che sono in prossimità di esami, magari vanno avanti a studiare, nelle loro camere, fin oltre mezzanotte. Ma non sono esentati dalla sveglia delle cinque e mezza e dagli altri lavori.
In mezzo a tutto questo, i più grandi, quelli che a volte fanno fatica a pagare la retta della scuola o quella dell’internato, si vanno a cercare qualche lavoro spot per guadagnare qualcosa. E i lavori più probabili sono quelli manuali e di fatica. In Italia c’è la possibilità, per gli studenti più preparati, di guadagnare qualcosa dando ripetizioni, o facendo volantinaggio, o addirittura trovando un impiego part time presso un call center. Qui, si fa il taglio dell’erba, la potatura degli alberi (senza sega a motore e scale!) o il trasporto di cemento e mattoni, con le carriole.

Quindi, se parliamo dai vent’anni in giù, questo è il tipo di “ozio” abituale.
Anche qui, il livello di disoccupazione è intorno al 40%, per tutti, non soltanto per i giovani. In Italia, a causa della crisi, il livello di disoccupazione è passato dall’8/9% a circa il 13%. Per i giovani in cerca di primo impiego, purtroppo siamo alle percentuali già dette.
In Cameroun, la disoccupazione al 40/45% è per tutta la popolazione, almeno secondo i dati ufficiali. Secondo quelli ufficiosi, i disoccupati sono molti di più.
Eppure, durante il giorno, i bar sono vuoti. I maggiori assembramenti di persone si trovano presso gli ospedali (gente che cerca di curarsi) e tanti ragazzi e giovani si vedono presso il mercato o i supermarket: ti aiutano a trasportare i pacchi e la spesa, in cambio di qualche moneta. O vanno presso le poche imprese, a vedere se c’è la possibilità di recuperare un lavoro qualsiasi, anche soltanto per un giorno o due.
E quando lo trovano, sono estremamente disponibili ad accettare qualsiasi tipo di paga e a dimostrare la loro capacità di lavorare, anche ben oltre le otto ore canoniche, qualsiasi sia il tipo di lavoro.
E la maggior parte delle imprese fanno capo a multinazionali estere, che qui trovano manodopera a bassissimo costo e, in pratica, senza diritti sindacali. E che hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo.  E che hanno la possibilità e il potere di “convincere” le autorità a rendere estremamente difficile, a volte illegale, ogni tipo di protesta o richiesta sindacale.
Ed ecco che, gira che ti rigira, ritorniamo al punto cruciale: quanta responsabilità c’è nei paesi ricchi per la situazione di sottosviluppo dei paesi poveri?
Se dobbiamo parlare di ozio, ce n’è molto di più nei paesi ricchi che in quelli poveri.
Qui, quando c’è la possibilità di lavoro, le persone non si limitano a rimboccarsi le maniche: si tolgono la camicia!
Da noi, una parte della disoccupazione è relativa alla difficoltà di trovare un “determinato” tipo di lavoro, altrimenti, se tutti i disoccupati italiani fossero disponibili a svolgere qualsiasi tipo di lavoro, purchè lavoro, quante possibilità di impiego avrebbero gli immigrati?
Quanti giovani potrebbero fare i badanti o le badanti? E perché questo lavoro è svolto quasi esclusivamente da immigrati? Perché sono disponibili a lavorare per un tozzo di pane? E chi glielo offre questo tozzo di pane?
Ci fa comodo trovare i pomodori a 1 euro al chilo? E quanto può essere pagato chi raccoglie i pomodori, per poterli vendere a 1 euro al chilo?
Quanta responsabilità c’è in tutti noi, se l’immigrato che si lamenta del trattamento da schiavo viene bollato subito come ingrato?
“Prima gli italiani!”. Soltanto nei diritti o anche nei doveri?
A chi racconta la castroneria dell’ozio africano: vieni qua a lavorare. Incomincia a lavorare all’aperto alle sei di mattina, per utilizzare le ore più fresche. Poi trasferisciti all’interno quando il sole picchia forte. E vai avanti fino a quando fa buio, cioè fin verso le 18,30. Dodici ore di lavoro, pagate per otto.
Fai tutto questo senza tutti gli aiuti tecnologici che trovi in Italia: senza scale o elevatori automatici, arrampicati su alberi di trenta metri e taglia i rami con il solo aiuto di un machete, difendendoti contemporaneamente dalle termiti, che ti si infilano nei calzoni. Il machete è a tuo carico, non te lo fornisce l’azienda o il cliente. E quando ha perso il filo, tocca a te riaffilarlo o comprarne uno nuovo.
Non perdere tempo e cerca di non farti male, perché rischi di perdere il lavoro!

Soprattutto, prima di scrivere certe castronerie (invasione, delinquenza, tutti sani e forti, pigrizia, nessuna voglia di lavorare, furto di lavoro, eccetera) cerca di informarti e informati ancora.
Il vecchio pensionato italiano che ruba la scatola di sardine al supermarket per fare cena, è immediatamente giustificato.
L’immigrato che fa la stessa cosa per gli stessi motivi, è immediatamente linciato.
Se entrambi hanno rubato per fame, entrambi dovrebbero godere delle stesse attenuanti.
Se entrambi hanno rubato per “piacere”, entrambi dovrebbero avere lo stesso trattamento.
Ho l’impressione che dietro agli slogan “prima gli italiani”, ci sia il vecchio concetto: ai bianchi tutti i diritti, ai neri tutti i doveri. E che stiano zitti!!! Una volta questo sistema si chiamava schiavismo, oggi si chiama “difesa della patria”.


Ma questi sono ragionamenti “buonisti”. Ultima castroneria.

2 commenti:

  1. Coinciso come al solito.....ma come al solito grande lucidità nel contrapporre ai piü beceri luoghi comuni, dati di fatto ed esperienze di vita vissuta...Ciao

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  2. Provo tanta rabbia e fastidio quando sento commenti stupidi e inconsistenti (voglio essere gentile ) come quelli che riporti, dietro ai quali c'è solo una profonda ignoranza, ma contro cui non c'è ragionamento o spiegazione che tenga.
    O no?

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