venerdì 18 luglio 2014

Allora, come va?

È la domanda più frequente che ci arriva da parenti, amici e conoscenti, soprattutto quando passa troppo tempo fra un post e l’altro.
In effetti, è passato poco meno di un mese, quindi sto mantenendo la media.
E, comunque, giusto per rispondere alla vostra domanda inespressa, va bene. Tutto procede normalmente, più il tempo passa e più ci si abitua alle diversità di questo paese.
Ogni tanto mi arrivano notizie da altri amici che, come noi, sono in giro per il mondo a vivere le stesse esperienze.
E, a volte, li invidio per ciò che raccontano: esperienze in villaggi della foresta, corse notturne in macchina alla ricerca disperata di dottori e ospedali per cercare di salvare una vita (e riuscirci!), costruzione di scuole o ospedali, condivisione vera e profonda e quotidiana degli enormi problemi di vita che ci sono in alcuni paesi. In pratica, tutto ciò che è presente nell’immaginario collettivo riguardo all’Africa, ai volontari o ai missionari.

Poi però mi chiedo anche se sarei veramente capace di affrontare una vita del genere. Nella nostra precedente (e limitatissima!) esperienza in Guinea Bissau abbiamo avuto l’occasione di vivere qualche giorno in una situazione del genere: in mezzo alla foresta, in una fattoria dove vivevano tre famiglie, senza acqua corrente e senza luce. Anzi, la luce in teoria c’era, fornita da un generatore, ma era riservata all’attività lavorativa e non si poteva sostenere il costo per entrambe le necessità: lavoro e comodità in casa. Quindi, in casa, poche ore di elettricità al giorno, per soddisfare solo l’indispensabile (i particolari, se non ve li ricordate, li trovate qui:  http://guineabissau-unviaggiodentro.blogspot.com/  i post sono quelli del 2 e 4 gennaio). Ma vivere 3 o 4 giorni in quelle condizioni è folcloristico. Viverci dei mesi, degli anni o tutta la vita, sarà ancora folcloristico? E per chi non ci è abituato, sarà facile? Credo di no.
E, alla fine, mi consolo pensando due cose: 1) le vie del Signore sono infinite, se sono/siamo arrivati qui ci sarà certamente una buona ragione; 2) ho una discreta esperienza aziendale e sono totalmente ignorante in agricoltura: forse sono più utile in una azienda che in mezzo ai campi!

Le uniche corse in macchina che faccio di notte sono quelle per andare in aeroporto, a prendere qualcuno che arriva o accompagnare qualcuno che parte: lo faccio volentieri, è piacevole, ma non c’è nessun romanticismo. Ma è un pochino gratificante sentirsi dire dai viaggiatori che si sono sentiti tranquilli e a loro agio.
Per molti aspetti il Cameroun è lontano mille miglia dalle nostre condizioni di vita. Per altri aspetti ci è molto vicino. Certamente la vita è meno comoda, ma per noi i sacrifici sono abbastanza limitati e senza dubbio sono sopportabilissimi. E, lo ripeto, mi ci sto abituando.
A volte, durante il lavoro, mi metto a spiegare qualcosa e vedo che mi guardano allibiti. E hanno ragione: mi sono messo a parlare in italiano! Raramente, sono io che guardo allibito i miei colleghi (e spero che loro non se ne accorgano): perbacco, sono neri!
Ma è nelle parole di tutti i giorni che ti accorgi di vivere una vita normale: hai tempo di fare un salto al mercato o ci vado io? Bisogna comprare i sacchetti della spazzatura. Ricordati di mettere fuori la lettura del contatore, chè passano domani. Cosa c’è per cena? Ma possibile che tutti vengano a tavola quando gli fa comodo? Neanche fossimo in albergo!
Vita normale, quotidiana, di routine.
Ti alzi alla mattina, doccia, barba (Ica, no), colazione e vai in ufficio. Ti fermi a prendere il giornale. No, non ci sono edicole e anche i giornali sono in pratica assenti. Arrivi in ufficio: normalissimo ufficio: una stanza ampia, arieggiata e abbastanza luminosa, con scrivania e un piccolo tavolo da riunioni. Meglio di tanti uffici dove ho lavorato nel passato. Guardi la posta. No, in pratica non scrive nessuno, sia perché non c’è un servizio di recapito postale a domicilio, sia perché i tempi di consegna presso gli uffici postali variano da 10 a 15 giorni, o mai. È preferibile utilizzare la posta elettronica. Quasi, perché al CAA c’è una sola postazione internet, presso l’ufficio dell’amministrazione. Sarà una delle prossime migliorie. A metà mattina ti vien voglia di un sano caffè. Beh, non esageriamo! Le alternative sono due: vai a casa e te lo fai, o rinunci. Puoi andare in una boutique (difficile per noi chiamare bar chi vende bibite, panini, carta igienica e altro): certamente trovi uova sode e pane, birra o fanta, ma il caffè proprio non c’è. da qualche parte, con un po’ di fortuna, una bustina di nescafè.
Vorrete mica dirmi che questi sono sacrifici insormontabili?
E poi c’è il lavoro, quello vero.
Almeno dove si svolge il mio compito, si risolve in due domande cruciali: come aumentare le vendite e come ridurre i costi di produzione. Domande uguali in tutto il mondo, sempre di non facile soluzione indipendentemente dalla latitudine in cui ti trovi.
Forse qui, come in altri paesi come questo, rese un pochino più difficili dall’assenza di infrastrutture e servizi.
Ad esempio. Se devi fare una spedizione all’estero (è uno dei sistemi per aumentare le vendite), la prima cosa che ti serve è un buon sistema di imballaggio, sicuro, economico e leggero. La classica plastica a bolli che in Italia ormai trovi in qualsiasi angolo di strada? Qui è difficilissima da trovare. Chi la usa spesso la importa. E forse c’è chi la produce. Ma per trovare il produttore o il rivenditore devi affidarti al passa parola: le “pagine gialle” non esistono e internet riporta un cinquantesimo di quello che veramente esiste. E, comunque, la plastica a bolli ormai è vietata: da maggio scorso, lotta alla plastica. Divieto di vendere e utilizzare qualsiasi contenitore in plastica non biodegradabile. Ottima iniziativa, favolosa per l’ambiente, ma la produzione della plastica ecologicamente corretta è ancora molto, molto limitata. Fino a ieri, anche le panetterie ti mettevano il pane in un sacchetto di plastica. Poco igienico e assolutamente non ecologico. Oggi te lo danno in mano, avvolto in un foglio di carta riciclata. No, non pensate a quella carta nuova, fabbricata riciclando carta vecchia o stracci. È carta riciclata perché già utilizzata per altri scopi: le copie dei registri di fatture, scritte e sporche di carta carbone; i quaderni di scuola ormai inservibili, naturalmente già scritti o disegnati; eccetera. Vi sfido a mettere un chilo e passa di pomodori in un foglio A4 e vi sfido a portarvelo dietro!
Comunque, tornando alle nostre spedizioni all’estero. Oltre a proteggere ogni oggetto, ti serve un contenitore adatto per il trasporto. Una bella scatola di cartone resistente, di adeguate misure. Torniamo al solito problema: chi le fabbrica? Che dimensioni sono disponibili? Come sono fatte? Che prezzo hanno? Se non è possibile rispondere alla prima domanda, le altre sono inutili. Ma c’è chi fa incetta di scatoline e scatoloni usati e te li rivende. Vai a vedere che cosa ha, cerchi ciò che può risolvere il tuo problema e speri che ne abbia in quantità sufficiente. Tiri sul prezzo e concludi l’affare. Poi, magari, le disfi e le ricostruisci secondo le tue reali esigenze.
La filosofia del riciclo e la sana educazione a limitare gli sprechi? Venite qua, c’è da imparare moltissimo, potrebbero fare dei corsi universitari!
Le macerie del muro crollato? Servono a riempire i buchi nelle strade.
Le assi utilizzate per costruire il muro nuovo? Ottimi scaffali.
Le scarpe che a tuo figlio non vanno più bene? Si rivendono sul mercato.
La t-shirt con un disegno che non ti piace più? Poche storie: continui a utilizzarla finchè non è ridotta a brandelli. In fondo, serve a coprirti, mica a far vedere quanto sei bello o ben vestito!

La vita, qui in Cameroun, punta decisamente all’essenzialità: ciò che serve a vivere, più spesso a sopravvivere.
I bambini si divertono correndo  e giocando a “mondo” (ve lo ricordate?). O andando a cercare tesori sepolti nelle discariche, scansando topi e scarafaggi. E poi costruendo, con questi tesori, carrettini a ruote, con un lungo bastone collegato alle ruote, così lo fanno correre per strada, guidandolo attraverso quel bastone. Naturalmente, giocano quando hanno fatto tutto il resto: scuola, pulizie in casa e fuori casa, rifornimento d’acqua per chi non ha l’acqua corrente in casa, cura dei fratellini più piccoli, aiuto ai genitori nel loro lavoro. E l’età non conta: tutto questo viene fatto appena possibile, dai sei/sette anni in su.

Per il CAA, ho pensato in che modo potevamo dotarci, per la nostra tipografia, di una di quelle stampanti digitali, lunghe due o tre metri, con le quali da una parte dici il titolo del libro e dall’altra esce il libro stampato, con tanto di copertina e già pronto per la vendita. Mi hanno fatto capire che, tutto sommato, qui è inutile. La mano d’opera ha un costo talmente basso che l’investimento in una macchina che piega, fascicola e incolla automaticamente non è conveniente. Piegatura, fascicolatura, incollaggio e impacchettamento costano molto di meno, se fatti a mano.
E mi chiedo se anche le lotte sindacali per ottenere una paga migliore e migliori condizioni di lavoro non abbiano contribuito, forse anche notevolmente, al nostro progresso tecnologico.

O mi chiedo, magari con un pizzico di polemica, se chi rimpiange i “bei tempi” nei quali i bambini si divertivano correndo e sbucciandosi le ginocchia, o facendo le classiche malattie infantili, o andando a scuola a piedi, anche quando pioveva; mi chiedo se si guarda anche l’altro lato della medaglia. Nel 1951, quando i bambini in Italia facevano tutte quelle cose, la speranza di vita media era di 65 anni. Cioè, un bambino nato nel 1951 aveva la “speranza” di vivere fino a 65 anni. Dieci anni dopo questa speranza era passata a circa 68 anni. Oggi (e i bambini quelle cose non le fanno più o le fanno molto di meno) siamo il quarto paese al mondo per speranza o aspettativa di vita. Dopo il Giappone, Macao e Andorra (e un bel po’ prima di Francia, Inghilterra, Germania e Paesi Scandinavi) veniamo noi, con un’aspettativa di vita media di circa 85 anni!
Qui, i bambini vanno a scuola a piedi, con il sole e con la pioggia; corrono dietro alle farfalle e disegnano con i pezzi di mattone sulle strade (quando ci sono); si ammalano e guariscono (non sempre); vanno a cercare tesori nascosti nelle discariche; sono, tutto sommato, felici.
E hanno una speranza di vita di 54 anni.
Pronti a fare cambio? Vi aspetto qui.

Allora, come va? È un po’ che non vi sento. Nessuna novità da raccontarci?

1 commento:

  1. Siamo sempre lì. Chissà perché qualcuno pensa sempre al passato come a un tempo d oro, contro ogni evidenza. E' un mito, come il mito del buon selvaggio. in realtà mi viene sempre in mente quando a scuola facevamo le semplificazioni delle frazioni, riducendole all' osso. Gratta, gratta ho l' impressione che, tolte appunto tutte le sovrastrutture ,poco cambi, sia nel tempo ( verticale) sia nello spazio (orizzontale ) O no ?
    GIO

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