giovedì 22 gennaio 2015

Ferie finite!

C’era veramente bisogno di un po’ di ferie!
Ma, alla fine delle ferie, sentivo anche il desiderio (e la necessità) di tornare, di riprendere la mia attività, di cercare di definire alcuni aspetti che, da lontano, avevo potuto analizzare meglio.
Un mese di ferie all’anno è una situazione normale.
Anzi, oggi ci sono persone che non riescono a godere neanche di questo diritto: le “ferie” sono spesso mancanza di lavoro piuttosto che giusto riposo.
Comunque, è stato un periodo molto bello e felice: rivedere parenti e amici dopo più di un anno di assenza “non ha prezzo”!!!
Vedere finalmente dal vivo e non soltanto in fotografia la nipotina: che cammina, gioca, sorride.
Non parla, ancora. Almeno, non in maniera intellegibile da noi, ma fa dei lunghi discorsi, nel particolare modo di tutti i bimbi di mettere assieme versi e gesti, in attesa di sistemare al posto giusto vocali e consonanti. E poi, dire che non parla è riduttivo: dice (e urla) dei “no” che sono comprensibilissimi e che la dicono lunga sul suo carattere.
Vederla perplessa in occasione del primo incontro, come se stesse prendendo le misure di chi le stava di fronte per la prima volta; e poi vedere che tutto il suo viso si spalancava in un sorriso. E un sospiro di sollievo: “ok, l’esame è andato bene, sono stato accettato!” .
Rivedere i figli. Anche loro camminano già. Hanno già fatto un mucchio di strada e ancora ne faranno. E parlano anche. Ma sentirsi dire “meno male che sei arrivato. Avevo bisogno di te”, ripaga completamente di un anno di assenza e ti mette qualche dubbio. Il mio posto è qui o là? Anche se il “bisogno” può tradursi nello spostare un mobile o fare un buco nel muro o pulire un parabrezza.
Ma parlare con loro di quello che Ica e io stiamo vivendo qua, dei problemi e delle opportunità, sentire la loro compartecipazione, le loro obiezioni e i loro consigli, anche questo è impagabile. E certamente noi abbiamo bisogno di loro, di tutti e tre i figli.
E poi sentire l’apprensione e le raccomandazioni della sorella. E il suo affetto. E sentire, dentro, che le prime sono una naturale conseguenza di quest’ultimo.
E i nipoti, i pronipoti, tutti più grandi di un anno, tutti uguali ma nello stesso tempo leggermente diversi. O totalmente cambiati.
E gli altri parenti, per i quali ci sarebbe ancora molto da scrivere.
Accorgersi che, poco per volta, le tue “propaggini” dirette o indirette si stanno allargando e allungando, che prendono direzioni impreviste o, al contrario, proprio quelle che avevi immaginato.

Rivedere gli amici, purtroppo non tutti. Sentire che hanno piacere di rivederti. E sentirlo magari da piccoli particolari, che ti dicono molto più di una calorosa stretta di mano o di un abbraccio: “ma vi siete trasferiti a Candia solo da dieci anni? Sembrava molto di più.” O: “quando tornate definitivamente? C’è la possibilità che torniate prima?”.
Saluto adesso tutti quelli che avrei voluto vedere e che non sono neanche riuscito a sentire, sperando di trovare la loro comprensione.

Durante la nostra permanenza in Italia abbiamo avuto l’occasione di andare a trovare Paolo e Chiara a casa loro a Cantù. Se vi ricordate, Paolo è stato il direttore del nostro ospedale qui a Mbalmayo e Chiara è sua moglie. Noi abbiamo “ereditato” la loro casa. C’erano naturalmente anche Maria e Gegè (Geremia), i figli nati tutti e due a Mbalmayo. Geremia, quando è partito per l’Italia, non parlava ancora (come Nina). Ma adesso si fa fatica a farlo stare zitto!
C’erano anche Jean Daniel e Victor: il primo è l’attuale direttore dell’ospedale, il secondo è l’addetto alla manutenzione delle attrezzature ospedaliere. Jean Daniel è venuto in Italia (e ha visitato altri paesi europei) a cercare sponsorizzazioni e fondi per l’ospedale. Victor ha seguito un corso specialistico per impiantistica elettrica. Quella sera eravamo una dozzina di persone, tutte accomunate dal fatto di essere o essere stati in Cameroun.
Dodici persone, di cui due nere, tutte con ricordi, aneddoti o storie attuali in Africa, che si scambiavano idee e commenti in un misto di italiano e francese, nel cuore di una regione che qualcuno si ostina a chiamare “padania”! Se ci pensate bene, “non ha prezzo”!!!
Verso la fine della serata, Jean Daniel ha detto qualche parola. Era la seconda volta che veniva in Italia: la prima volta aveva dato attenzione soprattutto al Paese, alle sue caratteristiche naturali e artistiche, come un qualsiasi turista. Questa volta, invece, ha centrato il suo interesse sulle “persone”, sul loro modo di vivere, sulla loro cultura e tradizione. Ha constatato che, secondo lui, in Italia (e in Europa) c’è una attenzione diversa ai rapporti interpersonali e c’è la volontà di costruire rapporti stabili e duraturi. Nel suo piccolo, vuole cercare di portare questa mentalità nella sua vita in Cameroun, perché la ritiene molto positiva.  E ha concluso dicendo che non c’è alcun ostacolo a vivere insieme, ciascuno con la propria autonomia e indipendenza, nel rispetto dell’autonomia e indipendenza degli altri. A me è balzata agli occhi una immagine gastronomica: pasta da pane, pomodoro e mozzarella sono tre elementi diversissimi fra loro, ma si integrano perfettamente fra di loro e diventano pizza. Anche se ciascuno di loro mantiene le sue particolari caratteristiche, la sua “autonomia”. Perché integrazione non è annullamento di qualcosa (o qualcuno) in qualcosa d’altro. Al contrario, molti (da entrambe le parti, sia chiaro) credono che integrazione significhi “tu devi diventare come me, devi rinunciare alle tue idee, alle tue caratteristiche culturali, alla tua “autonomia”, per annullarti in tutto ciò che io considero giusto, corretto e superiore”. Questa non è integrazione, ma sottomissione e, a scanso di equivoci lo ripeto, succede da entrambe le parti. E anche chi, a parole, si dichiara favorevole a questo tipo di integrazione, spesso pone una condizione: “comincia tu!”.
La teoria della sottomissione presenta una conseguenza certa: prima o poi, i sottomessi chiederanno, anche a forza, di invertire le parti.
La teoria dell’integrazione presenta conseguenze probabili: integrazione (modello pizza!) o disintegrazione (in tutti i sensi).
Io preferisco avere la probabilità di una conclusione positiva che la certezza di una conclusione negativa.
Ogni tipo di probabilità comporta dei rischi e pretende molto impegno, molta costanza e qualche “investimento personale”.
Mi viene in mente quel tizio che alzava mille preghiere al cielo, perché gli facesse vincere la lotteria. E, dopo un po’, il cielo risponde: “almeno, compra il biglietto!”.
In tutto il mondo ci sono persone (tantissime!) di tutti i colori, di tutte le razze e di tutte le religioni, che fanno il loro investimento personale, nel loro paese o nel paese di qualcun altro. E non hanno nessuna certezza di vincere. Ci provano, mantengono la speranza, la trasmettono ad altri. Combattono tutti i giorni e a tutte le latitudini contro quelli che vogliono vincere senza correre. O, peggio, contro quelli che pretendono di vincere, facendo correre gli altri.

Mai fatto ferie così ricche!!!

E adesso si ricomincia (già ricominciato, in effetti!), con lo stesso entusiasmo di prima, forse un po’ più razionale.


P.S.: a chi, in Italia, mi ha detto che dovrei essere più conciso, prometto di provarci, ma non è detto che ci riesca. E poi, potete sempre leggere a rate!

4 commenti:

  1. Per te è più facile essere "circonciso".

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  2. Il tuo posto è là, qua o dove credi che lo sia.
    L'importante è che ci sia un seghetto alternativo nelle vicinanze!

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  3. MI spiace per il caffè di saluto di domenica scorsa, ma anch'io ho scelto la nipotina tornata per due settimane dall'inghilterra che aveva piacere di cenare con noi. Sono certa che il mio prossimo caffè lo gusterò con te leggendo il tuo blog, che mi permette di vedere con i tuoi occhi posti così lontani e diversi da qui. A presto, buon lavoro, e aggiornaci puntualmente. E non essere " circonciso". Leggere fa bene alla mente. Rosella

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  4. E' così bello leggere i tuoi blog che non vedo il motivo di ridurne la ricchezza .Continua così !Inoltre credo che quando si lavora a denti stretti per un obiettivo che riteniamo giusto ,non ci siano né vincitori né vinti ,solo gente che si dà da fare .O no ? Giovanna

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