martedì 17 novembre 2015

Foumban 1

Camminare all'ombra di un bosco di larici, calpestando qualche pigna caduta per terra e rinfrescati dall'aria dei 1000 metri.




Nostalgia delle montagne italiane?
Un po’, naturalmente.
Ma quello che vedete sopra è un paesaggio del Cameroun, nella zona nord-ovest di questo grande paese.

Siamo stati invitati a visitare Foumban, la capitale del regno dei Bamoun, l’etnia più importante dell’ovest del Cameroun, insieme ai Bamilekè.
È inoltre il popolo più ricco d’arte, tanto che la loro capitale è conosciuta come “città d’arte”.
Un popolo ricco di storia, che risale al 1300.
Ricco di reperti e di tradizione, raccontata per immagini e simboli. E orgoglioso della propria storia.

Qualche notizia sul nostro ospite.
È  il sindaco di Foumban, Mr. Adamou Ndam Njoya, personaggio eminente nella storia contemporanea del Cameroun, politico di rango, conosciuto in molti ambienti internazionali e ben conosciuto anche presso il Vaticano, per il suo forte e continuo impegno verso l’ecumenismo di tutte le religioni. Mr. Njoya, se non l’avete capito, è musulmano, ma non fa alcuna differenza: è convinto della sua fede, ma è altrettanto convinto che tutte le fedi abbiano lo stesso diritto di esistere sotto lo stesso cielo.
La moglie di Mr. Njoya si chiama Hermine Patricia Tomaino Njoya, deputata del Parlamento camerunese. Il primo invito è venuto proprio da lei e quando abbiamo proposto di andarli a trovare lo scorso weekend, lei era negli Stati Uniti per impegni legati alla sua attività. Non ha voluto che spostassimo la data, perché i suoi e i nostri impegni avrebbero reso quasi impossibile una visita prima della metà di dicembre.
La signora Tomaino Njoya ha radici italiane: suo nonno, Angelo Tomaino, era militare in Libia ai tempi della seconda guerra mondiale. Preso prigioniero dagli alleati, è stato portato in Cameroun; in seguito si è fermato lì, sposando una camerunese e continuando la sua vita come camerunese.

Ma, oltre a queste curiose coincidenze, c’è stata, fin da subito, una affinità di pensiero e di idee che ci ha fatti trovare subito a nostro agio.

Il viaggio verso Foumban è stato lungo. Sia per la distanza (circa 500 km), sia per la ormai ben nota condizione delle strade.
I primi 150 chilometri sono stati “normali”. Strada normalmente asfaltata, traffico limitato, media oraria fra i 60 e i 70 km/ora. Difficile mantenere medie più elevate: si attraversano villaggi e paesi, ed ogni volta ci sono dossi rallentatori che ti obbligano a fermarti quasi per il loro superamento; ci sono i caselli per il pagamento del pedaggio; ci sono i posti di blocco della polizia stradale e quelli della gendarmeria. I primi per la sicurezza stradale, i secondi per la sicurezza nazionale.

Siamo così arrivati al ponte sulla Sanaga, uno dei fiumi più importanti del Cameroun.










Dopo il ponte sulla Sanaga, la strada è cambiata: ancora asfaltata, ma piena di buchi. A volte “piccoli”, cioè di una quarantina di cm di diametro; a volte più grandi, quasi tutta la carreggiata. La profondità sempre più o meno uguale: 10/15 cm. Situati a caso: a destra, in mezzo, a sinistra, affiancati, in linea, e così via.
Il sistema di guida è quindi quello di capire quale è la traiettoria da seguire per cercare di evitarli: lasciandoli a lato, o passandoci sopra con le ruote a destra e sinistra, spostandosi completamente contromano.  In pratica, una strada a chicane continue, senza dimenticare dossi, caselli, posti di blocco. Se si prende uno di questi buchi a discreta velocità (70/80 km/h) con una normale berlina, le probabilità di fermarsi a bordo strada con qualcosa di rotto sono abbastanza elevate. Con il pick-up si corrono meno rischi, ma resta il timore e la preoccupazione di “invecchiare” la macchina anzitempo. E prendere anche dei buoni colpi sulla schiena.
Diventa quindi una guida decisamente snervante e faticosa. E si comprende meglio perché un viaggio di 500 km possa durare tutta la giornata o quasi.

A parte ciò, andando verso ovest il paesaggio poco per volta cambia. E non soltanto dal punto di vista del territorio. A poco a poco cambia anche l’ambiente sociale: sembra quasi diventare più ordinato e pulito: ad ogni paese ci sono i mercati all’aperto, che vendono di tutto. Mercanzie ben separate: da una parte alimentari e piccoli ristoranti; dall’altra tutto ciò che non è alimentare. Maggior pulizia per terra, minor quantità di merci appoggiate per terra, ma sistemate su banchi, magari di fortuna ma sollevati da terra.
Anche alcune differenze sulla tipologia di alimentari: frutta che nella nostra zona è rara da trovare, verso ovest diventa molto più frequente: mandarini, del classico colore dei mandarini, un bell’arancione acceso, che vengono chiamati (guarda un po’!) “clementine”; angurie (pasteque), più piccole delle nostre, con una scorza più spessa, ma con lo stesso sapore e meno semi; arance e pompelmi. Naturalmente, anche banane, ananas e così via. Diminuiscono i banchi di pesce e aumentano quelli di carne. Attenzione, però: nei mercati all’aperto, con banchi volanti sistemati la mattina e ritirati la sera, non si vende carne e pesce freschi, ma soltanto cucinati, in gran parte alla griglia.
Per i delicati di stomaco, il “cibo da strada” può creare qualche problema: carne o pesce sono collocati sulla griglia, con una brace a legna costantemente accesa e sostituiti a mano a mano che vengono venduti. Se decidete di acquistare una porzione di carne, il venditore sceglierà il pezzo più pronto, vi chiederà quanto volete spendere, se 1000, 1500 o 2000 franchi (da 1 euro e mezzo a tre euro), vi farà assaggiare un pezzettino e poi taglierà a bocconi la porzione, sistemandoli su un pezzo di carta (giornale, quaderno usato, copie di ricevute e così via, mai un pezzo di carta nuovo!), accompagnati da un cucchiaino di piment in polvere e vi fornirà anche uno stuzzicadenti per potervi servire. L’unico attrezzo in mano al venditore è un coltello affilato, per tagliare la carne. Per ogni altra necessità ci sono le mani.
La carne è normalmente bue o pollo, rarissimo il porco, ancora più raro andando verso ovest, perché aumenta la percentuale di musulmani, fino a diventare stragrande maggioranza.
Per il pesce è tutto più semplice: scegliete il pesce in funzione della grandezza e di quanto volete spendere. Di solito ve lo cuociono al momento, quindi dovete aspettare. Ve lo sistemano sul solito pezzo di carta, con il solito accompagnamento di piment e anche un po’ di cipolle affettate. Senza stuzzicadenti o forchetta: avete le mani, cosa volete di più?
Potete mangiare in piedi, oppure potete scegliere uno dei tanti bar vicini e aspettare che vi portino l’ordinazione al tavolo. Intanto ordinate anche da bere; e se volete accompagnare il tutto con un po’ di pane, passate prima dal panettiere e lo comprate.
Tutto ciò, nei paesi occidentali oggi si chiama “street food” e “finger food” e va molto di moda. A volte c’è una differenza: poiché i ristoranti che vi propongono il “finger food” sono più alla moda e più chic, sono più cari degli altri. Come se mangiare con le mani fosse ormai un lusso. Certamente il livello di igiene è più alto.
È comunque un classico sistema “fai da te”, o si potrebbe pensare a un “pranzo Ikea”: scegliete i diversi componenti (carne, pesce, contorno, frutta, pane), li acquistate su banchi o negozi diversi e li assemblate a vostro piacimento nel posto dove trovate anche le bevande.

I nostri ospiti ci avevano trasferito il numero di telefono di Ismahel, uomo di fiducia del sindaco, che ci avrebbe fatto da guida a Foumban. Consigliandoci di chiamarlo ogni tanto lungo il viaggio, per assicurarlo che tutto procedeva per il verso giusto.
La prima chiamata l’abbiamo fatta in partenza da Yaoundè. La seconda quando siamo arrivati a Bafoussam, nella regione Centro-Ovest (c’è anche un Sud-Ovest e il Nord-Ovest, la nostra meta). Bafoussam è una importante città del Cameroun, abbastanza grande. Disordine e sporcizia qui aumentano, come in quasi tutte le grandi città, meta dell’immigrazione interna, cioè di quelli che abbandonano i villaggi e le campagne per cercare opportunità di lavoro nelle grandi città. Quindi aumento caotico della popolazione di queste città, con scarso o nullo adeguamento dei servizi e relative conseguenze.
A Bafoussam la stanchezza incominciava a farsi sentire: erano ormai già passate le quattro del pomeriggio ed eravamo in viaggio dalle otto e mezza. Chiamato Ismahel, comunicata la nostra posizione e chiesto quanti chilometri mancassero a Foumban.
Sì, perché i cartelli stradali sono pressoché inesistenti e anche il nostro navigatore non riconosceva l’esistenza di una città chiamata Foumban, continuando a consigliarci una inversione di marcia!
La risposta di Ismahel è stata confortante: una ventina di chilometri. In realtà sono risultati essere quasi altri cento, costellati di dossi e posti di blocco. Leggermente diversi dai precedenti: blocchi di tre piccoli dossi ravvicinati, di una quindicina di centimetri di altezza e 10 di larghezza, in pratica come un tubo di ferro incollato al terreno. Tre, a distanza di venti centimetri uno dall’altro: ptum, ptum, ptum … ptum, ptum, ptum. Una breve pausa, cinquanta metri, e il dosso più grande: sempre una quindicina di centimetri di altezza, ma 50 o 60 di larghezza. Poi, passata la zona in cui la velocità doveva essere molto bassa, per la presenza di un mercato o di scuole, ancora la serie: dosso grande e tre piccoli.
Poi i posti di blocco e controllo: sei pneumatici piazzati a terra, ad ostruire completamente la corsia di destra; dopo dieci metri, altri sei, ad ostruire completamente la corsia di sinistra; dopo un centinaio di metri, altre due serie di pneumatici, disposti in senso opposto ai precedenti. Velocità massima utilizzabile: 15 km/h. Con necessità di dare precedenza a chi ha già incominciato il passaggio, perché può passare solo un veicolo per volta.

Ma, infine, siamo arrivati! Ismahel ci aveva comunicato di aspettarci davanti all’albergo che ci era stato prenotato, ma abbiamo dovuto spiegargli che forse era meglio darci un appuntamento in un posto ben definito sulla strada, in modo che potesse accompagnarci all’albergo, visto che non sapevamo assolutamente dove potesse essere.
Ormai erano passate le sei, la voglia di una doccia, di cambiarci, di sdraiarci un momento, di sgranchire le gambe, di abbandonare finalmente il volante era massima.
Bell’albergo, in pieno centro città. Ma. 


Niente acqua calda. Anzi, quando siamo arrivati, niente acqua del tutto: bidone di acqua fredda e, su richiesta, secchio di acqua calda. Tre ripiani (60cm x 60cm) per appoggiare camicie o altro e tre appendini per i vestiti. Nessun appoggio per spazzolino da denti o rasoio o sapone. Niente dove appendere un asciugamano o un accappatoio.
Ma si riesce a vivere lo stesso!

Credo che anche voi siate stanchi del viaggio. Prossimamente il seguito.

1 commento:

  1. Tu pensa che oggi mi sono adirata notevolmente x ché il tecnico della lavastoviglie, che sto aspettando da ben 12 giorni, non è potuto venire e non so quando verrà. Vedi le priorità della vita! A parte la battuta, che dopo questa lettura diventa "smorbieta'', grazie x questo inizioviaggio. Con ansia attendo il resto. Rosella

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