domenica 29 novembre 2015

Foumban 3. E ultimo!

Quando siamo ritornati alla residenza del sindaco, era l’ora della preghiera musulmana del venerdì, la più importante della settimana; e il sindaco ne era, naturalmente, il principale protagonista.
Come forse avete visto dalle foto, il sindaco veste il particolare e riconoscibile abito musulmano, completo di copricapo: tutto bianco. Questo colore è consentito soltanto a chi ha già compiuto il pellegrinaggio alla Mecca, nessun altro può portarlo.
All’interno del parco ove è situata la casa del sindaco, esiste anche una moschea. Non pensate alla solita costruzione con cupola e minareto: è una costruzione rettangolare, con un portico, non eccessivamente grande. La moschea era già piena e lo spazio intorno era altrettanto gremito di uomini e ragazzi predisposti alla preghiera. Ognuno (o quasi) con il proprio “tappeto da preghiera”: il classico tappeto orientale, o una stuoia, anche in plastica, o un pezzo di tela. Importante non è il materiale o il disegno; importante è il fatto che quell’oggetto ha soltanto ed esclusivamente quell’uso e non altro. Si dispone il “tappeto” per terra e ci si sale senza scarpe. Chi, per qualsiasi motivo, ne è sprovvisto, si accomoda su quello di qualcun altro, sempre disposto a dividere il proprio tappeto con altri. L’abbigliamento era molto vario: più spesso gli anziani avevano una veste di foggia islamica, ma erano comunque presenti moltissimi blue jeans e le immancabili divise scolastiche. Così come fra i giovani e giovanissimi, erano presenti i calzoni a mezza chiappa.
Un rito normale, con il celebrante all’interno della moschea che recitava le previste preghiere e i fedeli, all’interno e all’esterno, che rispondevano in coro, con inchini, genuflessioni o particolari movimenti e posizioni delle braccia. Vi ricorda qualcosa?
La giornata e la preghiera erano comunque molto particolari.
Vi ricordo, infatti, che era venerdì 13 gennaio, il giorno immediatamente successivo agli attacchi terroristici di Parigi.
La preghiera ha seguito il previsto rito islamico, ma i commenti successivi e la riunione che il sindaco ha tenuto con i maggiori rappresentanti dei fedeli sono stati indirizzati a biasimo, dissociazione, cordoglio. E totale condanna dei terroristi “traditori dell’Islam”.
Voglio ricordarvi anche che Adamou Ndam Njoya, già presidente della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, organizza tutti gli anni, a Foumban, una manifestazione ecumenica insieme ai rappresentanti di tutte le religioni praticate nel Distretto di Noun (il distretto di Foumban).
Quando l’abbiamo visto alla mattina, avevamo notato una certa stanchezza. Poi ha confessato di aver seguito tutti i reportage disponibili, fino a mattina, senza andare a dormire, tanto era preoccupato e addolorato.
Mai ha fatto cenno a recriminazioni o rivalse. Mai ha detto ciò che a volte diciamo anche noi: la condanna del terrorismo, senza dubbio, ma anche qualche recriminazione sul comportamento delle cosiddette Grandi Potenze. Niente di tutto questo. Soltanto una piena e totale condanna del terrorismo che non ha, mai, alcuna anche minima giustificazione. Che non è assolutamente di origine religiosa, perché persone di quel tipo non hanno religione.
Ci ha fatto vedere le bozze di alcuni libri che è in procinto di stampare, anche questi con il filo conduttore dei precedenti: pace e tolleranza; eguali diritti per ogni religione; naturalmente, anche elogio dell’Islam.

No, non cercate foto della preghiera o dei fedeli genuflessi. Voi sareste contenti se qualcuno venisse a scattarvi foto durante la Messa?


Dopo pranzo, Ismahel ci ha accompagnati a un villaggio fuori Foumban. Il Fon (capo) di quel villaggio è un discendente del “corridore perdente” e sulle pareti della sua abitazione ha fatto fare una serie di affreschi che illustrano la stessa storia già vista al museo di Foumban, raccontata secondo la sua ottica.
Una storia sostanzialmente uguale, tranne in qualche piccolo particolare, omesso nella narrazione precedente.
Ma, anche qui, la volontà di tramandare la storia, di affidare all’arte la memoria di ciò che è avvenuto nel tempo.



 Il Capo Njikoumnjouo Moninou







 La corsa per essere RE

Il primo Re Nchare Jen, con le sue mogli.
Non c'è errore di prospettiva o di proporzioni: 
a quanto pare Nchare Jen era alto 2 metri e 60;
anche abiti e copricapi conservati al museo
sono proporzionati a quella misura.

Qui c'è un riferimento indiretto ai nostri giorni.
Nchare Jen tornava da una guerra e non sapeva che intorno al suo palazzo era stata innalzata una palizzata difensiva. 
E' entrato ugualmente, cercando di scavalcare, e il guardiano, 
per difesa, l'ha ucciso.

Il Capo si chiama Njikoumnjouo Moninou, che più o meno suona così: ngikumgiuò moninù ed è in carica dal 1980. (non è detto che la pronuncia corretta sia con l'accento finale, ma è la francesizzazione della lingua)
Non fa soltanto il Capo. Esercita anche la medicina tradizionale e ci ha mostrato alcune erbe e cortecce, spigandoci il loro uso terapeutico. Che funziona in moltissimi casi. E quando non funziona, consiglia al paziente di rivolgersi all'ospedale. Questo consiglio non è assolutamente un’ammissione di sconfitta, anzi. Dai pazienti è interpretato come il passo successivo della terapia. È consigliato dal Capo e quindi è certamente valido e non esclude che anche le terapie precedenti fossero valide.


Nel suo villaggio non manca mai la corrente (forse manca qualche lampadina!): ha realizzato una mini turbina idroelettrica, di fattura artigianale e usando l’acqua di un corso d’acqua lì vicino: in questo modo produce corrente, a costo zero.
Rispettosi delle tradizioni, certamente. Ma non rifiutano la modernità e i vantaggi che può portare, anzi l’utilizzano ogni volta che apporta qualcosa in più rispetto al passato.






Sabato, ultimo giorno di visite. Per domenica è previsto il viaggio di ritorno e occuperà, in pratica, tutta la giornata.
Abbiamo cominciato con un giro sul mercato: Ica cercava qualcosa di particolare e credo che l’abbia trovato. Io mi sono guardato un po’ in giro. È sempre interessante vedere cosa si vende in questi mercati.
Ho avuto anche l’occasione di scambiare due parole con un venditore (che si è rivelato essere anche un consigliere comunale) sulla situazione politica internazionale. E anche in questo caso vi sono state parole di condanna per quanto accaduto a Parigi. Però, questa volta, accompagnate anche da qualche recriminazione sul persistente ruolo di “semi-colonialismo” che giocano ancora alcune grandi potenze in Africa e, naturalmente, in Cameroun. Non un riferimento diretto e aperto alla Francia, ma ….. .
Abbiamo poi scoperto che la boutique dove Ica si è fermata più tempo era della mamma del sindaco e quindi ci sono state le dovute foto.
Ma anche le botteghe dei macellai erano senza dubbio folcloristiche.
Diversamente che su altri mercati, non c’era la pressione dei diversi venditori a offrire la propria mercanzia: qualche accenno, ma era sufficiente un cortese cenno di diniego perchè si allontanassero.
















Una veloce visita al Municipio, dove nella Sala Consiliare fa bella mostra un bel mosaico in ceramica, e presentazione dei diversi Capi Servizio.




In seguito, Monsieur Njoya ci ha accompagnati a visitare la sua azienda agricola, dove coltiva soprattutto caffè.
È un’azienda molto vasta, in mezzo alla quale c’è anche la sua “residenza di campagna”, anch’essa ricca di opere d’arte antiche e moderne, nella quale è comunque evidente anche l’influenza della cultura occidentale, acquisita inizialmente durante gli studi universitari in Francia e durante gli stage di specializzazione in Inghilterra. Ma è un’influenza che modifica e non annulla il fondo camerunese-africano.
Nell’azienda si svolge tutto il ciclo di lavorazione, dalla semina alla raccolta, alla divisone del frutto dal seme, fermentazione, pulitura, essiccatura e fino alla divisione per calibro. Si arriva quindi a riempire i sacchi, pronti per la spedizione verso i paesi importatori.
Tutta l’energia necessaria per il ciclo è prodotta in loco (anche in questo caso) da una mini-turbina idroelettrica che sfrutta l’acqua di un laghetto convogliata verso la turbina con una condotta forzata che utilizza il dislivello creato fra punto di raccolta dell’acqua e impianti. È stato realizzato anche un sistema di “troppo pieno”, che recupera l’acqua in eccesso.
Da un punto di vista ecologico-ambientale, c’è molta attenzione al mantenimento delle condizioni più naturali possibili.

Ora è stato creato un vivaio di piante da caffè provenienti dal Brasile, in modo da effettuare una miscelatura di varietà differenti e con maggior stabilità del gusto.

Nello stesso comprensorio aziendale si fabbricano anche mattoni: la raccolta della terra argillosa necessaria è limitata alle necessità aziendali e di qualche limitato richiedente esterno. Viene quindi mischiata a determinate dosi di piccola ghiaia e cemento e il tutto viene pressato meccanicamente da una apposita macchina, senza aggiunta di acqua e senza elettricità: la compattezza e resistenza necessaria è fornita dalla giusta miscelatura e dall’azione di umidità naturale e sole.


La casa padronale







Opere d'arte, antiche come queste maschere,
o moderne, come la tavola in ceramica e i quadri.



Anche qui, l'accostamento fra tradizione e modernità:
il muro esterno che racchiude in parte la moschea,
ricostruito con la tecnica delle pietre a secco.


Sullo sfondo, la raccolta dell'argilla per la costruzione dei mattoni.


La moschea, ovvero il luogo per la preghiera.





 La vecchia dimora, che riprende la forma tradizionale
a pianta quadra e tetto spiovente.



Un'antica sedia in legno intagliato e scolpito.


La condotta per la turbina e il sistema di "troppo pieno"
con recupero dell'acqua in eccesso.


Lo stagno dal quale si ricava l'acqua per la turbina.
Sulla sinistra, un'enorme pianta di bambù.



E' sempre lo stesso bambù di prima.


 La chiusa per far defluire l'acqua verso la turbina.



Un vecchissimo residuato,
dal quale si può ancora ricavare qualche pezzo utile.


Case dei lavoranti e magazzini.



Il caffè.


Vivaio di caffè brasiliano.



Il sindaco è tornato alle sue attività istituzionali, riaffidandoci alla guida di Ismahel e dandoci appuntamento verso metà pomeriggio.
L’appuntamento non è stato rispettato, da entrambe le parti, e ci siamo rivisti soltanto poco prima della cena.
Per parte nostra, Ismahel ci ha portati a visitare una particolare ed esclusiva iniziativa alberghiera, ideata per la classe alta dei camerunesi e per i turisti europei.
Il viaggio per arrivare è stato decisamente scomodo: una decina di chilometri di strada sterrata, abbastanza larga ma talmente disastrata che ci abbiamo impiegato quasi un’ora per percorrere quel tragitto, con molti dubbi, da parte nostra ed espressi in italiano, se non era il caso di trovare una qualsiasi giustificazione per invertire la marcia e tornare su strade più percorribili.
Abbiamo resistito e siamo arrivati alla località Petponou. Che significa "due laghi". Cioè un lago "maschio" situato leggermente più in alto e un lago "femmina" alimentato dal primo e separato da una striscia di terra di qualche centinaio di metri. Il primo è il più grande e anche il più bello. Sulla riva del lago maschio è stato realizzato un club veramente esclusivo, in un ambiente totalmente al di fuori degli standard del Cameroun: accesso possibile solo agli iscritti, con tanto di guardia e cancello comunque sempre sbarrato e aperto su autorizzazione della direzione; una vastissima estensione, comprendente un campo da golf a 18 buche e strutture alberghiere costruite nel rispetto della natura circostante: bungalow circolari in legno con tetto di paglia, ma corredati di tutti i comfort richiesti da quel tipo di clientela; campo da tennis, piscina, canoe per navigare i laghetti, ristorante di alta cucina (dove abbiamo mangiato mooolto bene) e altri ammennicoli del genere, compresa una piccola pista di atterraggio per piccoli aerei da turismo. Forse un po’ uno schiaffo alle condizioni della stragrande maggioranza del paese.
Unico difetto: i tempi di attesa. Un’ora e un quarto per  avere le portate in tavola sembra davvero eccessivo. Ma i frequentatori abituali normalmente prenotano il pranzo di mattina presto e quindi tutto può essere meglio organizzato.
Dati i tempi di attesa, in pratica abbiamo cominciato a mangiare all'ora in cui era fissato l’appuntamento con il sindaco. Fortunatamente, anche lui ci aveva nel frattempo informato che i suoi impegni lo avrebbero fatto ritardare.


La "strada" per Petponou (la parte migliore!)





La direttrice del club 
(molte donne, anche nella zona musulmana, rivestono cariche direttive)






Il campo da golf
 




Percorso golf


I bungalow residenziali





Sullo sfondo, il lago "femmina"


Nel ritorno, era previsto di fermarci all’abbazia dei monaci cistercensi, alle porte di Foumban.
Ma siamo arrivati troppo tardi e abbiamo rimandato la visita alla mattina dopo: sarebbe stato sul nostro percorso di ritorno.
Siamo ugualmente arrivati al cancello dell’abbazia, presidiato da una pattuglia militare in assetto di guerra, con richiesta dei documenti, firma di registro e ritiro dei documenti al momento di partenza.
Misure adottate dal governo a difesa dei luoghi di culto cristiani, per evitare interventi di fanatici.
Anche in questa occasione abbiamo scambiato due chiacchiere con i  militari, islamici. Che hanno giustificato le misure di protezione appunto con la temuta, anche se ipotetica, presenza  di adepti di Boko Haram (siamo abbastanza vicini al confine con la Nigeria); hanno anche tenuto a precisare, a propria difesa e discolpa, che è assurdo dare a questi banditi (testuali parole) la definizione di islamici o difensori della fede: sono appunto banditi che perseguono il loro interesse e la ricerca di potere, personale o di chi li manovra; secondo loro, nessuna fede religiosa giustifica o ha mai giustificato la violenza, la guerra o gli omicidi.
In pratica, da tre ambienti diversi, istituzionale, civile e militare, abbiamo sentito le stesse parole e lo stesso tipo di condanna.



Tornati a Foumban, abbiamo rivisto il sindaco, scambiando impressioni sulle giornate, ringraziandolo per l’accoglienza e fissandoci un appuntamento a Yaoundé o addirittura a casa nostra: vuole comunque avere l’occasione di vedere il nostro centro di produzione artistica. E ci aspetta nel futuro: la sua casa sarà a nostra disposizione anche per una futura vacanza camerunese.

La cena l’abbiamo fatta a casa della suocera del sindaco, la figlia di Angelo Tomaino. Che ha voluto dimostrarci la sua simpatia.
Sta ristrutturando la casa, perché prevede di accogliere un po’ di figli e nipoti sparsi per il mondo. Secondo la tradizione camerunese (e di altri paesi africani) la tomba del padre è lì, nella veranda della casa. È un’usanza che sia la Chiesa Cattolica, sia l’Islam cercano di sradicare (altro punto di contatto), ma difficile da estirpare. D’altronde, ultimamente ho sentito sovente persone in Italia che tengono in casa l’urna con le ceneri dei propri cari defunti, quindi alla base c’è un sentimento identico, anche se espresso con modalità differenti.
La parte più interessante della visita della casa è stata l’illustrazione di una serie di pannelli in legno scolpito, sistemati sotto le vetrate del salone, per una superficie di circa otto metri per uno, che illustrano la storia familiare: l’arrivo di Angelo in Cameroun, il lavoro, la creazione della famiglia, la nascita dei figli, le loro attuali professioni. Anche qui, la volontà di narrare per immagini e mantenere la storia anche per i discendenti.



Infine, ci siamo separati da lei e da Ismahel, con abbracci, strette di mano, scambio di indirizzi e reciproche promesse di rivederci.

A noi, dopo l’ultima notte in albergo (secchi d’acqua calda e fredda), il viaggio di ritorno, con ulteriore fermata all’abbazia, per la visita non effettuata la sera precedente e per l’acquisto dei loro prodotti, soprattutto il caffè, molto buono e che già compriamo abitualmente a Yaoundè. E la scoperta che il monaco che ci ha accolti conosce molto bene tutta la nostra organizzazione ed è anche il cognato di una addetta dell’ambasciata italiana, con la quale abbiamo frequenti rapporti.

 







Quattro giorni piacevolissimi, che hanno aumentato le nostre conoscenze geografiche, culturali e soprattutto personali con la conferma che in qualsiasi parte del mondo  tu vada, puoi trovarti a tuo agio e, soprattutto, accorgerti che ciò che unisce e accomuna è sempre in quantità maggiore di ciò che, superficialmente, può dividere.
Basta solo un po’ di comprensione e un po’ di buona volontà.

Il prossimo racconto a casa, di fronte al nostro caminetto. Arrivo previsto per il 15 dicembre alle ore 18.
Arrivederci!!!

3 commenti:

  1. Grazie! Abbracci. Buon viaggio. Arrivederci.
    Anna

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  2. Grazie. Abbracci. Buon viaggio. Arrivederci.
    Anna

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  3. Bel reportage, molto interessante per foto e usanze locali. Non avevo dubbi che la vera religione islamica non potesse essere d'accordo sui tragici avvenimenti di Parigi. Buon viaggio di ritorno, a presto!

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