mercoledì 4 maggio 2016

Una vacanza da Re - 4

Da Dschang a Bafoussam e poi a Bandjoun. 

All'inizio di questo breve ciclo di post, vi ho parlato delle Chefferies. Che rivestono ancora un ruolo importante in Cameroun. Sia per quello che ho già scritto, sia perché, oggi, diventano un importante meta turistica.
In queste giornate di vacanza, noi stiamo viaggiando proprio su una parte della "Route des Chefferies", un percorso che porta in tutte le più importanti chefferies del Paese e soprattutto di questa zona.
E in questo territorio il COE (che è ormai presente in Cameroun da quasi 50 anni!) ha lasciato una notevole impronta: ha realizzato, agli inizi degli anni 2000, 4 musei per la salvaguardia del patrimonio artistico e culturale di questa zona e del Cameroun in generale.
Sono i musei di Bandjoun (la nostra meta) e di Baham nell'Ovest del Cameroun e quelli di Mankon e Babungo nel Nord-Ovest.
Qui vedete 4 foto di questi musei, prese dal sito http://www.museumcam.org/, dove potete trovare tutta la storia di questo progetto e le particolarità e finalità dei musei. C'è la versione francese e quella inglese e anche per chi non mastica queste lingue, la comprensione è semplice.







Questa volta, anche andando contro chi mi accusa di essere, a volte, un po' prolisso, permettetemi una piccola diversione. Che riguarda noi, abitanti del "nord" del mondo, e loro, gli abitanti del "sud", quelli del "terzo mondo".
Non vi è dubbio che i popoli ricchi e potenti abbiano ottenuto enormi vantaggi economici dallo sfruttamento delle colonie in ogni parte del mondo. Naturalmente a totale svantaggio degli abitanti di quei paesi. E possiamo dire che ancora oggi, anche se con forme meno evidenti (e più subdole) lo sfruttamento coloniale continua.
E questo è un aspetto economico estremamente importante, perché ha anche riflessi sociali non indifferenti.

A volte però ci si dimentica o si sottovaluta l'enorme effetto negativo della tratta degli schiavi. O dello schiavismo in genere. Perché lo si ritiene una cosa, negativa, ma che ormai ha fatto il suo tempo. E si ritiene anche che sia stata limitata nel tempo.

Lo schiavismo è stato presente in tutto il mondo, ed in ogni epoca. La Bibbia ammette la pratica della schiavitù; Greci e Romani mettevano in schiavitù i nemici vinti; i "servi della gleba" non erano altro che schiavi. E così via.
Anche i popoli africani riducevano in schiavitù i nemici vinti.

Ma, secondo gli studiosi di questo fenomeno, l'Africa è stata per almeno dieci secoli il serbatoio di schiavi per tutto il mondo: a partire dal decimo secolo e fino al diciannovesimo, c'è stata una "esportazione" di esseri umani, necessaria allo sviluppo economico di altre nazioni.

Non vi sono dati certi e certificati, ma da documentazioni differenti si arriva a stimare che all'Africa sono stati sottratti da venti a trenta milioni di individui. E se questo numero non vi sorprende, confrontatelo con la popolazione mondiale (mondiale!) a metà del 1700: circa 750 milioni di individui.
E questi "esportati" erano naturalmente giovani, sani e forti, di entrambi i sessi.
questo vuol dire che generazioni intere non si sono sviluppate e non hanno lasciato la loro impronta nel loro paese.
E' mancata l'iniziativa, la creatività, il lavoro, le idee, in una parola, lo sviluppo di milioni di soggetti che, a occhio e croce, rappresentavano probabilmente un terzo di tutta la popolazione africana.

Oltre a generare i famosi "effetti collaterali": la tendenza a nascondersi, ad allontanarsi dalle zone più frequentate, ad inoltrarsi nell'interno, perdendo i contatti con altri popoli o con i vicini. La diffidenza e la paura verso lo straniero, cioè chi non appartiene al proprio clan o tribù,chiunque esso sia. E l'isolamento non favorisce mai né sviluppo né crescita.

La scomparsa, nel paese d'origine, di "fette" di cultura, di strati sociali. A totale vantaggio di chi, in altro modo, ha potuto sfruttare, se non la cultura, almeno la forza fisica e la forza lavoro, utilissima per il progresso e la crescita economica.
E questa è stata senza dubbio la "materia prima" più importante (e più redditizia) fra tutte quelle sottratte all'Africa.

Ecco allora che le iniziative tendenti a riportare alla luce e a diffondere storia e cultura di un popolo assumono anche l'obbiettivo di ricucire un tessuto strappato, per mostrarlo nella sua interezza. Soprattutto perché uno dei primi obbiettivi dei colonizzatori di tutti i tempi è sempre stato quello di negare o cancellare storia e cultura dei paesi colonizzati: senza storia e cultura i popoli sono più condizionabili.


Una vacanza da Re, per vedere e cercare di imparare cosa erano, cosa avevano fatto e cosa non hanno potuto fare i Re.


Ed eccoci ancora a Bafoussam, alla ricerca della sua Chefferie, anche questa (secondo le informazioni) molto ricca e bella.


Ci siamo arrivati per vie traverse. Anzi, a un certo punto ci siamo fermati per chiedere informazioni e abbiamo appreso che eravamo sul retro della Chefferie, naturalmente all'esterno.

Come sempre, la natura è una cornice impagabile. Anche in mezzo ad una città.











Oramai era sufficiente fare il giro dell'isolato per arrivare all'ingresso principale.
Anche qui, però, la sorpresa di non vedere alcuna attività o movimento: cancello principale spalancato, nessuno a permettere o negare l'accesso alle auto, nessuna indicazione se e dove si poteva posteggiare. E segni evidenti di lavori in corso.





 




Incrociamo un tizio, in abito tradizionale, con lancia in mano e copricapo piumato, che ci saluta, dice qualcosa che non comprendiamo e se ne va verso l'uscita.
Ci affianca un'altra persona, che ci spiega che il tizio di prima fa parte della Guardia del Re e sta andando ad accoglierlo all'ingresso. Poi ci indica un gruppetto di persone sedute all'ombra e intente a chiacchierare. Lì in mezzo ci dovrebbe essere il consigliere del Re.
E' la persona più indicata per fornirci aiuto.
Infatti arriva, ci comunica che il Re è fuori, sta rientrando ma ha altri impegni.
La Chefferie è chiusa per lavori e non si può visitare!
Mettere un cartello fuori? No, troppa fatica!
Supplichiamo il permesso di fare qualche foto, ma scuote il capo: non c'è il permesso del Re. E torna alle sue chiacchiere all'ombra, senza degnarci più di un minimo di attenzione.
Appunto, quello che dicevo prima circa la mancanza di cultura dell'accoglienza turistica: imparare a mandarti a quel paese con il sorriso sulle labbra, tanto che tu ti senti in colpa e ringrazi per la scortesia.

E va bene! Appena entrati e subito cacciati!

Ci viene il dubbio che il "turismo fai da te" forse non è la nostra specialità. Ma qui non ci sono molte alternative: o fai da te, o non fai.
Ci viene voglia di fare una pazzia e andare a cercare il nostro albergo in prossimità di Bandjoun, al Centre Climatique.
Prima di telefonare e prenotare, ci teniamo ancora un po' di tempo: andiamo a Bandjoun e speriamo di vedere la Chefferie e il museo realizzato dal COE.

L'ingresso alla Chefferie è imponente, ma ci vengono i brividi: anche qui ci sono lavori in corso!

Nessuno ci ferma e nessuno ci respinge. Dobbiamo arrivare fino agli uffici prima di incontrare qualcuno.
In auto arriviamo fino all'ingresso del territorio della Chefferie, sovrastato da un arco semitondo. Poi si arriva all'ingresso principale, affiancato da due edifici nella classica forma quadrata con tetto a punta.
Parcheggiamo lì, al di fuori del complesso. La nostra inveterata abitudine, che ci porta a non invadere gli spazi altrui, senza permesso. Mentre qui l'abitudine è quella di arrivare fino al punto più comodo, senza porsi problemi relativi a spazi pubblici o privati.
A fianco dell'ingresso principale c'è un giardinetto, con una statua dorata, probabilmente del fondatore della dinastia, risalente a metà del 1500.
Percorriamo tutto il viale che dall'ingresso porta fino alla costruzione principale della Chefferie: la Casa delle riunioni.
Il viale è fiancheggiato da costruzioni tutte uguali e disposte simmetricamente in bell'ordine: originariamente erano tutte con muri in argilla ricoperti da bambù intrecciati e con tetto conico in spessi strati di erbe. Talmente spessi da non lasciar passare gocce d'acqua.

Le case sono la residenza delle mogli del Re: da un lato quelle "dirette" dalla sposa principale del re, che obbediscono quindi alle istruzioni e ordini dati dalla sposa principale; dall'altro lato quelle che dipendono dalla vedova del re predecessore, che diventa moglie del nuovo re durante il periodo di iniziazione al regno.
La presenza di numerose mogli non è quindi una questione di tipo per così dire "ormonale", ma è molto più spesso e in prevalenza questione di tipo politico, sociale, solidale o di familiarità.
Ad esempio, uno dei re recenti della dinastia Bandjoun, morto nel 1975, aveva decine di mogli e, pare, circa 250 figli.
Anche il Re Fotue Kamga (uno dei 250 di prima), che ha favorito la costruzione del museo (parliamo quindi dei primi anni 2000), aveva una trentina di mogli. Il fratello successore, Ngnie Kamga, ne aveva invece 60, comprese le vedove del fratello morto. E l'attuale, oltre alle sue mogli dirette, ha la responsabilità di prendersi cura delle vedove dei suoi predecessori. L'attuale è un laureato in tecnica dei polimeri, quindi una persona con un grado di cultura piuttosto alto e moderno, ma le tradizioni e gli obblighi familiari sono molto importanti in queste culture.

La porta d'ingresso è sempre incorniciata da legno scolpito ed è sopraelevata di una cinquantina di centimetri, per protezione contro acqua e animali.
Oggi, anche a seguito di almeno tre incendi negli ultimi anni (pare anche dolosi), le costruzioni sono in muratura, con tetto in lamiera.
Sempre originariamente, il tetto conico non era soltanto una questione estetica o di potere (il numero di "punte" del tetto era proporzionale all'importanza dell'abitante). Era di fatto un "solaio", utilizzato come magazzino per mais o arachidi o altre riserve comunque utili alla casa.












La grande costruzione in fondo al viale è, allo stesso tempo, luogo di riunione, tribunale, residenza principale del re, granaio.
Risale al XVI secolo ed è alta una ventina di metri: da allora è regolarmente restaurata. Anche dopo i recenti incendi, che fortunatamente non l'hanno completamente distrutta, è stata ripristinata nella sua originalità.
E' circondata e sostenuta da pilastri costituiti da tronchi di legno scolpito: quelli centrali sono ancora originali, non essendo stati distrutti dal fuoco.
Le figure scolpite rappresentano i simboli storici e tradizionali del paese e della Chefferie. 
Rappresentano anche le caratteristiche del Re, che nella sua figura riassume i poteri politici, religiosi e sovrannaturali, che gli derivano dagli antenati e dalla sua discendenza reale. Tali poteri sovrastano e combattono i poteri dei maghi e stregoni che vivono nel regno.

Questo dice la tradizione e la storia. Che con il tempo si modifica, accettando e integrando la modernità, ma lasciando al Re questa aura di Importanza e di Superiorità, posseduta non tanto per vantaggio personale, ma per essere di supporto e aiuto a tutti gli abitanti del regno.

Tra le "modernità" risulta che su uno dei pilastri in legno sia raffigurato Eto'o: l'ho cercato, ma non sono riuscito a trovarlo.





Porte uguali, con gli stessi disegni, sono state realizzate
da studenti di IFA durante uno stage di studio
e oggi sono al CAA.
Non basta ricoprire le pareti di bambù: è necessario intrecciarlo bene e in maniera artistica.








Anche l'interno, pur nella sua semplicità, è imponente. Dominato dal pilastro centrale che si collega al vertice del tetto. Il pilastro è ricoperto da bambù intrecciato con rafia a formare disegni geometrici. Così come il soffitto.
Le pareti erano originariamente ricoperte di trofei di caccia e pelli di animali uccisi; all'interno il trono e mobili di varia natura. Molti di questi oggetti sono stati inizialmente trasportati nel museo e poi, purtroppo, distrutti negli incendi. Oggi la Grande Sala delle riunioni è vuota.






Fuori della Grande sala c'è il tam tam per chiamare a raccolta la popolazione:
è un tronco abbastanza regolare, con un diametro di circa un metro e una lunghezza di 4 o 5 metri.
I rintocchi sono udibili anche oltre un chilometro di distanza.
La fabbricazione dei tam tam non è semplice come potrebbe sembrare:
è un pezzo di legno unico, indipendentemente dalle sue dimensioni.
Diametro e lunghezza, oltre che le aperture in alto, condizionano e
modificano il suono e il timbro, insieme alla maggiore o minore forza
di percussione e al punto in cui la mazza viene battuta.
Lo scavo interno è fatto a mano, con utensili particolari
e solo attraverso quelle aperture in alto.
Lo spessore che viene lasciato deve essere quanto più possibile uguale
in ogni parte del tronco, per garantire una corretta sonorità.
Non è il caso di questi enormi tam tam, utilizzati con un preciso
ed esclusivo scopo di richiamo, ma molti degli altri hanno dimensioni,
forme e "scavi" utili a generare particolari complessi di note.



E poi c'è il museo.
Nato, come dicevo, alla metà del primo decennio 2000 e poi distrutto da un incendio, è stato ricostruito con l'aiuto di diversi sponsor.
Oggi ospita un'esposizione a tema, riguardante la storia della lavorazione del ferro, che tanta importanza ha avuto nello sviluppo di tutte le civiltà e naturalmente anche di questa.
Inoltre, contiene cimeli storici del regno, troni, simboli del potere, maschere rituali e altri oggetti che testimoniano non soltanto l'evolversi della vita quotidiana nel regno, con i suoi riti e le sue feste, ma rappresentano anche le creazioni di differenti artisti nei secoli e l'adattamento dell'arte e delle tradizioni alla modernità di ogni tempo.


La lavorazione del ferro, parte iniziale del museo, mostra gli arnesi
necessari a creare oggetti e utensili e dimostra come,
senza quest'arte, quasi nessuno degli oggetti artistici
presenti nel museo avrebbe potuto essere realizzato.





Uno degli oggetti forse più noti dell'arte Bamileké
(l'etnia predominante all'Ovest).
Non è una maschera, ma un copricapo.
E' molto particolare e decisamente fuori dall'ordinario.
E' costituito da due piani opposti: il primo, verticale,
che occupa circa due terzi dell'altezza totale e rappresenta
le marcate sopracciglia di due occhi a mandorla.
Dopodiché il copricapo assume un piano orizzontale,
disegnando guance, naso pronunciato con simbologia evidente
e una larga bocca aperta.
Non sempre è realizzato con le medesime caratteristiche:
gli occhi possono essere aperti o chiusi, la bocca può evidenziare
maggiormente i denti, ma l'impianto generale è sempre lo stesso.


Questo è un trono.
Al di là della forma particolare, ha una simbologia molto concreta.
Scolpito in un unico pezzo di legno, è totalmente rivestito di conchiglie,
dello stesso colore e forma. La conchiglia era, nell'antichità,
la "moneta di scambio" e, come oggi, chi possiede più moneta è,
a torto o a ragione, più importante e potente.
E il re che si faceva costruire un trono di questo tipo comunicava
a tutti quali erano il suo potere e le sue disponibilità economiche.
A volte, un sedile simile, magari più modesto, un semplice sgabello
con il piano ricoperto di conchiglie, era dono di qualche sottoposto
del re o di uno dei suoi "vassalli".
E la simbologia assumeva significati differenti.
Riconosco il tuo potere e la tua importanza, regalandoti un
oggetto di alto valore, ma le mie "risorse" devono essere utilizzate
per l'uso che io ho deciso.
Il regalo di un semplice sacco di conchiglie avrebbe potuto avere
la stessa importanza, ma forniva al destinatario la possibilità di
utilizzare quel "denaro" per ciò che lui voleva.
Al contrario, il "denaro" che ti viene dato ha
una precisa destinazione e scopo.
Riconosco la tua importanza, ma svolgi bene il tuo ruolo
e non approfittare di ciò che ti viene dato o regalato.
Ancora molto attuale.

Zucche e calebas rivestite di perline e tessuti.
Le calebas sono i frutti di particolari alberi.
Hanno più spesso una forma sferica, ma ve ne sono anche di allungate.
Non hanno alcun uso alimentare e vengono utilizzate solo come contenitori
o oggetti decorativi, attraverso tecniche abbastanza complesse che
prevedono la raccolta in un particolare momento
(se cadono dall'albero spontaneamente diventano spesso inutilizzabili),
il tempo di essiccazione con determinate attenzioni di esposizione
all'aria e al sole, lo svuotamento e poi le decorazioni.  

Una coppia di gemelli. Contrariamente ad altri paesi africani,
i gemelli in Cameroun hanno notevole importanza:
sono considerati una particolare attenzione delle divinità,
concessa soltanto ad alcuni per i loro meriti.
In altri paesi, invece, rappresentano l'espressione del demonio
o delle forze del male e uno dei due (quando non entrambi)
deve essere soppresso.  

In basso, in primo piano, non è un semplice mucchio di paglia:
è un copricapo, con un diametro di circa un metro e mezzo
e del peso complessivo di circa 25 chili.
Il Re lo deve portare in specifiche occasioni
e con quel copricapo in testa deve percorrere un preciso itinerario,
senza fermarsi o toglierselo.
E' aiutato dai suoi collaboratori, ma anche in questo caso
la simbologia è evidente: il potere pesa e devi essere in grado
di sopportarlo per tutto il tempo necessario,
meglio se con l'aiuto di qualcuno. 


Bene! Visita alla Chefferie e al museo completata; ultimo saluto al capostipite della dinastia e in viaggio per cercare il "Centre Climatique" e verificare le nostre possibilità di dormire in un albergo "di lusso".



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