giovedì 20 marzo 2014

E' ora di argilla

Certo! Al CAA (Centro d’Arte Applicata o, in francese, Centre d’Art Appliqué) sapete tutti che facciamo oggetti in ceramica. Belli, e non lo dico soltanto io, a volte solo decorativi, più spesso decorativi e utili.
Vi ho già fatto vedere qualche foto e anche il resoconto della nostra partecipazione al Salone dell’Artigianato.
Ma per fare tutti quegli oggetti occorre assolutamente la materia prima: l’argilla.
Che non si compra al mercato. Almeno, non qui.
Certamente in altri posti i ceramisti si rivolgono a grossisti o direttamente alle imprese estrattrici e ordinano i quantitativi che gli sono necessari.
Qui è ancora tutto libero: ti serve l’argilla? Vai al fiume e prendila. In teoria è proprietà dello stato, ma l’utilizzo dell’argilla è talmente limitato e riservato a pochissimi soggetti, che impostare un servizio di controlli, permessi, pesi e misure, pagamenti e ricevute, costerebbe molto di più del guadagno che si potrebbe ricavare.

E, per ora, non ci sono neanche rischi di depauperamento. Qui a Mbalmayo, ad esempio, siamo gli unici ad approvvigionarci di argilla al fiume e lo facciamo con una frequenza di circa 3 volte ogni due anni.
E vedrete più avanti che non si deturpa o disturba la natura in alcun modo.
Quindi: l’altro giorno Dominique, il capo della linea ceramica, mi dice che è necessario andare a fare rifornimento di argilla, perché ne è rimasta poca ed è meglio farlo adesso, prima che ricominci il periodo delle piogge.
Dentro di me pensavo “ok, se c’è bisogno di argilla, andate a prenderla. Perché chiedere il permesso a me? Ma forse è meglio sentire il resto”. E il resto in effetti c’era: era necessario un autista!
E sì, perché ben pochi hanno la patente, ancora di meno si sentono autorizzati a guidare un veicolo del Centro e ancor di meno sono quei due o tre ai quali questa autorizzazione viene concessa.
E va bene, ditemi allora dove, come e quando. Perché non ne so proprio niente!
Definito il giorno adatto, secondo gli impegni di tutti e la disponibilità della macchina, occorre adesso ingaggiare le persone: ne servono da sei a otto, tutte disposte a fare non poca fatica.
Del CAA (oltre all’autista/direttore) ne vanno 3: Dominique, che sa dove andare e quale argilla prendere; Luc (sta per Lucassò), uno dei due decoratori/pittori; Boni (sta per Boniface), il giardiniere part-time. La nostra scuola d’arte ci concede l’utilizzo di tre studenti. Sul posto troveremo senza fatica altre due persone alle quali offrire un po’ di franchi per una mezza giornata di lavoro.
E la squadra è pronta. Il veicolo pure: il pick-up Toyota bianco, quello che ha già superato i 100.000 km, ogni tanto perde un pezzo o si ferma, ansima da far paura sulle piccole salite e ha qualche altro acciacco per età e usura.
E, finalmente, incomincio a vederci più chiaro quando mi danno istruzioni di portare il pick-up al CAA per caricare pale, picconi, carriole, secchi e mastelli: si va al fiume, qualcuno lavora di piccone e pala, qualcun altro trasporta con le carriole e si carica il pianale del pick-up. Quanti viaggi? La previsione è di farne 3 o 4, meglio 5.
Gli studenti sono disponibili soltanto alle 9 e mezza. Dominique e Boni vanno avanti con il servizio pubblico delle moto (e sospetto che ne abbiano presa soltanto una), portandosi pale e picconi; noi seguiremo dopo.
Il professore che ci ha concesso gli studenti dice che assolutamente devono tornare entro un’ora (ma cosa ce li dai a fare?), però ne vengono 4. In macchina siamo 6, ma siamo ancora entro i limiti. Il viaggio verso il fiume (4 chilometri) è veramente un calvario. A Mbalmayo stanno rifacendo le strade, e questa è una bellissima notizia. Ma in quel giorno hanno deciso di accelerare i lavori e, in pratica, hanno chiuso tutte le strade.
Con qualche giro strano e impiegandoci quasi tutta l’ora di permesso degli studenti, siamo finalmente riusciti a superare alcuni sbarramenti e siamo arrivati alla strada che conduce al fiume: sbarrata!!!
Torna indietro, rifai tutti i giri tortuosi dell’andata e cerca di inventare un altro passaggio.
L’hanno trovato il passaggio: ho avuto molta compassione per il pick-up! Raramente riuscivo a mettere la seconda; mi aspettavo a volte di dover bussare a qualche porta e chiedere, gentilmente, se ci lasciavano passare dal loro giardino. In effetti non stavamo facendo niente di diverso: in alcuni punti utilizzavamo un sentiero, fatto dal passaggio delle persone, mettendo le ruote nell’erba a fianco e cercando di non investire polli e bambini.
Ma siamo arrivati. E il posto lo conoscevo già: c’eravamo già stati, ma ci avevamo messo circa dieci minuti ad arrivare. Questa volta, invece, un’ora e mezza.
Ok, siamo arrivati. Parcheggio il pick-up sul lato della strada e guardo: dov’è l’argilla? Bisogna scendere la scarpata (vedi foto), percorrere il sentiero per circa trecento/quattrocento metri e si arriva al punto dove Dominique, Boni e gli altri due ingaggiati sul posto stanno scavando e spalando. E poi? Poi si riempiono i secchi, i bidoni, i mastelli, si caricano sulle carriole, si percorre il sentiero fino alla scarpata. A mano si portano secchi, bidoni e mastelli pieni di argilla sulla scarpata, si raggiunge il pick-up e si scarica tutto sul pianale posteriore. Quindi si torna alla buca dell’argilla e si fa un altro viaggio. Quanti viaggi per riempire il pick-up? Otto viaggi.
E intanto io cosa faccio? Aspetto. Vado a vedere la buca dell’argilla e aspetto. Sotto il sole. Senza un briciolo d’ombra. Entrare nel pick-up? È sotto il sole anche lui. Aria condizionata? Non funziona.
Ma di cosa mi lamento? Non scavo, non spalo, non faccio il mulo a portare l’argilla. Devo solo aspettare.
E salutare.
Perché al di là del ponte c’è il grande mercato di Mbalmayo, dove si vende di tutto, alimentari, casalinghi, vestiti, scarpe e altro. Sul ponte passa un po’ di gente che va o torna dal mercato e tutti, o quasi, salutano. È un susseguirsi di “bonjour” e non ho ancora preso l’abitudine a salutare per primo: sono sempre quello che risponde al saluto degli altri.
Nell’attesa, ho fatto anche un giro sul mercato. Non avevo la macchina fotografica, ma vi ho detto che c’ero già stato: con Giovanni, che invece qualche foto l’ha scattata e io ve la faccio vedere.



Quelle che riguardano l’argilla, invece, sono fatte col telefono e si vede. Però danno sicuramente l’idea del posto e del lavoro.
La buca dell’argilla non l’ho fotografata, perché dentro c’erano persone a lavorare e non volevo proprio dare l’impressione del turista che riprende gli uomini di fatica che scavano in mezzo alla terra.
















Dominique mi ha insegnato che in quel posto (è la golena del fiume, dove arriva l’acqua durante le grandi piene) c’è molta argilla, ma non tutta è “buona”: ci sono dei punti in cui c’è troppa sabbia o troppo scarto. Invece, dove scavano loro da qualche anno, l’argilla è molto buona: poca sabbia, poco scarto dopo la filtrazione (massimo il 10%), ottima plasticità. In questi anni hanno fatto un buco (con pale e picconi) di circa otto metri per quattro, profondo sì e no un metro e mezzo: la prossima grande piena lo riempirà nuovamente, senza alcun problema.
Quanti viaggi abbiamo fatto alla fine? Soltanto 4 e in un giorno e mezzo, per un totale di circa sei tonnellate d’argilla. Ogni viaggio di ritorno il pick-up trasportava, su quei fac-simili di strade, 1500 chili d’argilla e dalle quattro alle sei persone. Ci credo che ansima sulle salite!
Alla prossima! Adesso vado a fare un tour di lavoro: partenza domattina, ritorno previsto fra sette giorni, circa un migliaio di chilometri, quattro città da vedere e anche il mare e le spiagge, qualche potenziale cliente da convincere.
Forse avrò qualcosa da raccontare al ritorno.   

2 commenti:

  1. BUon tour e aspettiamo un bel reportage al vostro ritorno. Rosella

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  2. Vedo che ogni attività nasconde problemi e fatiche che noi nemmeno ci sognamo.
    Eppure...poco più di 100 anni fa era più o meno così anche qui. O no?
    Buon tour, aspetto con impazienza un tuo nuovo reportage.
    Giovanna

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